martedì 28 febbraio 2012

Ingoiare il rospo



Ingoiare il rospo
Noi umani agiamo per liberarci da un disagio o conservarci un privilegio. E a prescindere dal sistema politico, lo scontro fra agiati e disagiati genera civiltà se sul campo non restano vittime; oppure barbarie come in Italia, dove i disagiati cadono sotto i colpi della rapacità dei privilegiati che difendono e accrescono il loro potere e avere, con tutte le armi oneste e disoneste disponibili. E distinguere chi si agita per liberarsi dal bisogno e chi per impedirglielo "usando la legge a proprio vantaggio" è un lavoro da padreterni.
Sta di fatto, che il mondo della cultura che ha il diritto e il potere di progettare i modelli di "coltivazione sociale", che poi i "contadini della politica" realizzano in funzione dell’uguaglianza comunista, o disuguaglianza liberale, da Platone ad oggi non hanno inventato un solo modello che non sia (quando tutto va a meraviglia) una guerra camuffata da democrazia, legalità, pace e giustizia sociale.
Nei sistemi comunisti non c’è un impiego differenziato delle risorse che induca i più capaci (almeno per interesse personale) a produrre quel di più che serve a compensare l’improduttività degli incapaci. Mentre nel liberismo disuguale, la produttività trova la massima esaltazione, ma poi è oggetto di tali e tante appropriazioni da parte della classe media (pubblica e privata) che gestisce di fatto i massimi poteri in democrazia, che agli incapaci, improduttivi, emarginati, disagiati e onesti indifesi di tutte le razze, a parte l’elemosina della Caritas, nel momento e luogo giusto, gratis, arriva solo la cassa da morto.
La pancia della classe media, come quella della balena, si ingrassa di privilegi fino all’indecenza intercettando tutte le risorse economiche che la perequazione liberale attinge dai super produttivi per destinare ai soggetti che per qualche svantaggio di base, psicofisico, economico, geografico o morale, sono poco o per niente autonomi.
Quindi, l’uguaglianza è stata la tomba del comunismo, perchè non ha valorizzato le migliori intelligenze in funzione della produttività; mentre la disugualianza è  la tomba delle finte democrazie liberali come l’Italia, che pur avendo reso quasi ossessiva la produzione di ricchezza, non sanno impedire che quella che sfugge a banchieri e industriali, finisca intercettata dalla balena ingorda della classe media privata e pubblica, che pur rischiando di finire spiaggiata per  default nazionale, ai poveri fa gocciolare solo elemosine anzichè diritti.
Ed è per questa ragione che in Italia non sono mai mancati 10-15 milioni di poveri a lunga conservazione, grazie a burocrati e professionisti che difendono i loro privilegi a costo di consegnare ai loro figli e nipoti un Paese fallito, un futuro di precarietà o disoccupazione e una montagna di debito pubblico incolmabile; ma grazie anche ai ricchi che  possono permettersi il lusso di evadere ben 120 miliardi di euro all’anno. Che potrebbero anche essere il doppio o il triplo.
Questa è l’Italia. Esaltando la corruzione come alternativa "turbo" alla competizione "lumaca" si producono fiumi di miliardi che invece di scendere a valle a "dissetare" disoccupati ed emarginati, vengono prosciugati da migliaia di dighe e bacini (le cosiddette caste), o pompati a forza verso i paradisi fiscali, da evasori ed elusori, fino a lasciare gli ultimi alla Caritas o alla fune per impiccarsi.

lunedì 27 febbraio 2012

La ricchezza del sapere

La ricchezza del sapere
A giudicare dal divario fra disponibilità e necessità di ricchezza, l'Italia e la Grecia si direbbero moscerini con l'appetito di dinosauri.
Non è casuale che i due Paesi a più alta concentrazione di beni culturali dell'Europa e dell'intero Occidente, siano quelli a maggior rischio default.
La politica economica europea, con la libera circolazione di uomini e merci, è perfetta per l'intera Europa, ma è letale per Italia e Grecia, che hanno un patrimonio artistico mondiale, ma non hanno nè contribuzione mondiale, nè politica culturale degna di questo nome.
Nemmeno il sistema economico americano nel suo massimo splendore produttivo, sarebbe in grado di finanziare il restauro e la conservazione di tutte le bellezze italiane. E pensare che si possa fare tutto tassando i piccoli imprenditori, visto che le grosse industrie e le banche sono in grado di sottrarsi a questa sciagura, è fuori dalla grazia di Dio.
Dovremmo incominciare a vedere la ricchezza culturale italiana e greca come un'idrovora succhiasoldi e non come un'industria produttiva di ricchezza. Quindi finanziabile tassando l'Europa, non il fruttivendolo, il barbiere, il fabbro, il falegname o l'imbianchino italiano e greco.
Tutto ciò che nelle altre nazioni funziona a meraviglia, in Italia non riusciamo a tenerlo in piedi nemmeno puntellato. Siamo nella paradossale condizione che nel terzo millennio gli istruiti distruggono più di quanto producono e tocca agli ignoranti finanziarli. Più crescono di numero i dottori e i professori, più cresce la tassazione dei contadini e dei venditori di bruscolini, perchè in Italia la cultura fa solo danni.
La nostra economia (ma a naso direi anche quella greca) è appesantita e resa fallimentare dai costi astronomici del patrimonio culturale (e relativi addetti) che l'Europa forse ci impone pure di conservare, a gratis per l'Europa, strangolando di tasse le imprese nazionali, e mettendole nella tragica alternativa: fallire o evadere il fisco. 
Come Stato, dovremmo imitare Venezia e tassare tutti quelli che mettono piede sul suolo italiano, che per la sua unicità non può essere calpestato al minimo costo di una stanza in albergo, di un pranzo al ristorante, o ingresso al museo.
E' così esiguo il ricavato dalle economie nazionali, rispetto ai costi di manutenzione, che quella inestimabile ricchezza sta andando in rovina, e sta trascinando a fondo l'imprenditoria italiana e l'intero popolo, che paga tasse per incassare disservizi, perchè le tasse fanno da tappabuchi nella voragine del sistema cultura.
Il poco disponibile finisce disperso in mille rivoli, quindi sprecato, o peggio impiegato per creare una ulteriore crescente necessità di ricchezza, che si abbatte come una ghigliottina sulla rachitica economia italiana, inducendo i grossi imprenditori che possono delocalizzare a scappare dall'Italia. (Vedi Fiat & C.)
Cosa centra la corruzione o l'incapacità politica nello sfascio italiano o Greco? Un bell'accidente di niente. E' effetto, non causa. E' la cultura che ha smesso di essere autonoma almeno da mezzo secolo.
Gli italiani e i greci hanno il privilegio di vivere nella patria della civiltà europea e occidentale, ma sono condannati alla stessa lenta agonia del loro patrimonio, che l'Europa e il Mondo vogliono conservato, ma con i soldi dei greci e degli italiani, che senza aiuti mondiali si troveranno davanti al tragico dilemma: sfamare i cittadini di oggi o affamarli per salvare i musei, le biglioteche, gli archivi, le statue, i quadri, i libri,  i reperti di ieri.
Agli italiani si può chiedere di tutto; ma indurli a competere dopo avergli levato la pelle con le tasse e annegati nei disservizi, è come obbligarli a correre dietro un miraggio nel deserto. I salari sono i più bassi d'Europa, le tasse astronomiche, la benzina fuori controllo, il credito inesistente, lo Stato insolvente, e via elencando per un altro paio di mesi.
In Italia non c'è la minima possibilità di competere; ma se fossimo produttivi quanto l'India e la Cina messe insieme, faremmo ugualmente un buco nell'acqua, perchè il salvataggio vero di un patrimonio mondiale qual'è quello italiano, non si realizza tassando gli italiani, ma l'intera comunità mondiale.
I nostri mezzi d'informazione straripano di notizie di chiese pericolanti, quadri rubati, sculture vandalizzate e archivi e musei allagati o con volte gocciolanti; a quanto dovremmo portare tasse e benzina per fare tutto bene?

lunedì 20 febbraio 2012

politici senza navigatore



Politici senza navigatore
Quando il Padreterno era ancora fresco di laurea, progettò un modello di cavallo a quattro zampe, che andava dove lo portava il padrone intelligente.
Oggi, grazie al progresso, sono i cavalli gommati con navigatore satellitare a cercarsi la strada, anche se l'autista è un imbranato come quel cavaliere romano, che un secolo fa, dovendo incontrare il nipote che arrivava dall'America al porto di Genova, partì sparato a Palermo; e quando capì di aver sbagliato direzione, il nipote era già ripartito.
Morale della favola: se sbagli via, svolti a destra o a sinistra e correggi l'errore; ma se corri nella direzione sbagliata, puoi salvarti solo invertendo la marcia.
Se un individuo o un popolo si trovano in mano l'esatto opposto di quello che cercavano, perdono tempo e soldi a cambiare strada; devono ripercorrere la stessa via ma in direzione opposta, stravolgendo le loro certezze illusorie: esattamente ciò che fece la Russia passando senza strepiti dal collettivismo al mercato.
In Italia, la laurea e le conquiste sindacali dovevano cambiare i connotati alla povertà, ma l'hanno cambiata ai laureati gettandoli nel "rogo della disoccupazione" come diceva Don Milani. Ai medici, ingegneri, avvocati ed economisti parcheggiati nei call center o ad affettare mortadelle in qualche supermercato quando tutto gli va a meraviglia e non entrano in quel tragico 31% di giovani disoccupati che il lavoro se lo sognano.
E il progresso del mercato globalizzato avrebbe dovuto cambiare i connotati pure alla ricchezza, trasformando anche i venditori di caldarroste in Paperon dei Paperoni. E cosa ne hanno avuto Europa e America del pseudo-progresso: sono fallite pure le banche dopo gli imprenditori. E speriamo che l'epidemia non coinvolga gli Stati.
Ora, come lo zio romano che corse a Palermo per abbracciare il nipote che sbarcava a Genova, dobbiamo girare tutti il quadrupede ormai sciancato e ripartire dalla parte opposta, perchè il nostro nipote progresso è già arrivato in Cina. E a Genova e Palermo è ri-sbarcato il regresso: quello di un popolo laureato, masterizzato e sindacalizzato, ma condannato alla tragica scelta pane o Olimpiadi.
Per salvare il salvabile, l'Italia va ripensata dall'asilo al posto tomba, altro che tenere duro sull'art. 18, o proteggere gli evasori ed elusori miliardari perchè non scappino dall'Italia. Qua c'è scappato il futuro.
Ciò che ingiustamente i padroni tolgono ai lavoratori, impoverisce i lavoratori; ma anche le rivendicazioni selvagge danneggiano i padroni, visto che sfilano da falliti in tribunale, o fuggono in massa dall'Italia, o corrompono, o evadono-eludono fiumi di miliardi per reggere ai maremoti di sprechi e ruberie pubbliche, recessioni, crolli di borsa e contagi di titoli tossici di tutte le razze.
Questa è l'Italia di oggi: un pugno di mosche quanto a sicurezza e giustizia sociale e una montagna di debiti che arriva alla luna. L'esatto contrario di quello che abbiamo cercato, correndo per sei decenni nella direzione sbagliata, su un cavallo politico col paraocchi, ma senza navigatore.

martedì 14 febbraio 2012

Barboni e banchieri

Barboni e banchieri
Nel mondo ci sono due continenti con le gambe economicamente rotte: Europa e America; ma la cultura e la politica che si affannano a soccorrerle a costi stratosferici non hanno un solo ortopedico in grado di curarle.
I più vedono problemi per i poveri che non hanno da spendere, e pochi per i ricchi che non sanno produrre.
Ma non è tanto preoccupante la condizione del poveri che non hanno (perché se avessero saprebbero spendere), quanto quella dei ricchi che non sanno più produrre nemmeno da strozzini: o perché investono da cani, o perché non trovano più miniere da sfruttare, e costringono poi chi governa a soccorrere i banchieri falliti invece dei barboni affamati.
E l’informazione italiana, anche quando finge di occuparsi di problemi economici, nel 90% dei casi, si occupa di situazioni individuali o locali di estrema povertà e quindi non offre nessun contributo al problema nazionale e mondiale dell’improduttività dei ricchi da cui scaturisce la disoccupazione dilagante, l’evasione e il debito pubblico da bancarotta, nonché le caste auto referenziali e auto protettive.
La povertà dilaga quando in un popolo i ricchi non trovano più risorse culturali e materiali da cui spremere ricchezza, e da negrieri o usurai ripiegano verso lo sfruttamento del lavoro o del credito, quindi della massa dei lavoratori e piccoli imprenditori facendoli impoverire o fallire.
Ma il mondo della cultura non si è mai offerto in soccorso della politica per stabilire perché i rubinetti d’oro della produttività Occidentale gocciolano a malapena profitti, o sparano perdite stratosferiche.
Dov’è l’idraulico che sappia individuare se il guasto è nell’istruzione, nell’informazione, nel sindacato, nel caos legislativo, nella lentezza giudiziaria, o nell’irresponsabilità e disonestà burocratica?
Se i ricchi incapaci dell’Occidente si spostano ad Oriente, ridiventano produttivi senza bisogno di essere rapaci; allora in Occidente la povertà è l’effetto, mentre la causa è l’ormai impossibile produttività onesta dei ricchi.
Ci vorrebbe un idraulico capace di cogliere nel groviglio delle condutture istituzionali l’origine delle perdite di competitività e produttività. Se l’Italia è arrivata a totalizzare oltre il 30% di giovani, che il mercato non ha convenienza ad assorbire, senza contare i quarantenni e cinquantenni che perde per strada, non può essere solo problema economico.
I banchieri e gli imprenditori italiani sono diventati di colpo incapaci; oppure non è più conveniente assumere gli italiani, da che le conquiste sindacali e la macchina scassata dello Stato, sono in grado di tramutare in perdita qualunque profitto onesto?
Io spero sinceramente di essere in errore. Ma se le cose stessero proprio così, Monti che rimescola l’economia a colpi di liberalizzazioni, è come operasse i calli di un malato di tumore, perché i guasti italiani sono di natura giuridica, burocratica e tributaria.
Che poi i politici e i giudici si tengano strette le poltrone e usino il potere a proprio vantaggio è inevitabile, visto che della salute dello Stato, seriamente non ha convenienza di occuparsi nessuno: né i baroni delle università, né quelli della stampa, che oltre alla mela marcia della casta politica da eliminare, vedono tutto il cesto delle istituzioni italiane produttive di servizi da terzo mondo, di primissima qualità.

lunedì 13 febbraio 2012

Quanto mi costi, Massimo Sistema!

Quanto mi costi, Massimo Sistema!
Il mondo della cultura non ha mai tentato un serio confronto fra i due massimi sistemi legali disponibili (il terzo è ancora da inventare): quello comunista a tutela dei lavoratori e capitalista a tutela delle banche e imprese.
Nessuno si è mai chiesto se il comunismo che l’Occidente considerava "criminale" è morto di morte naturale o combattendo la guerra fredda contro il capitalismo ritenuto "legale", solo perchè più produttivo di ricchezza, ma nell'ingiustizia sociale legalizzata.
Il primo, sia pure con metodi criminali, si faceva carico della vita dell’intero popolo garantendo lavoro, cibo e salute a tutti; mentre il secondo (con finti metodi da Stato di diritto) salva i soggetti più produttivi o corruttivi, e gli altri è come li buttasse a mare, condannandoli, quando tutto va bene, alla precarietà o emigrazione, oppure alla delinquenza, alla droga, alla malattia o alla mafia.
Il comunismo partiva dal dovere di salvare tutti per salvare lo Stato sia pure con metodi feroci; mentre il capitalismo finto buonista parte dal dovere di lasciare tutti liberi di produrre nella competizione del mercato globale, (ma sfornando solo soggetti con la fissazione del posto fisso) e per fare cassa, finisce per scorticare vivi di tasse quei fessi dei piccoli imprenditori che si sono messi a produrre davvero nella legalità.
Ma così facendo il capitalismo nega l’innegabile esistenza di milioni di persone prive o carenti delle risorse culturali, intellettive, fisiche o economiche per competere e produrre ricchezza per sé e per lo Stato. E lasciandole senza un lavoro, un guadagno o un sussidio garantito è come se le offrisse da manovalanza a criminali e mafiosi. Visto che ai soggetti non ancora produttivi e senza posto fisso le banche non fanno più credito da decenni, o forse non lo hanno mai fatto.
E’ tutta qua la legalità dello Stato capitalista. E la violazione dei diritti umani resa illegale dalla Costituzione, viene legalizzata di fatto, con milioni di leggi, decreti e regolamenti, studiati per conservare troppo corta la coperta dei diritti, in modo da tenere sempre coperto il potere, gli amici del potere e scoperti gli altri.
Ma c’è una domanda che sorge spontanea a giudicare dalla marea crescente di padri di famiglia che a cinquanta anni e anche prima perdono il lavoro e non lo trovano più, o da quel 30% e passa di giovani disoccupati pur avendo titoli culturali in abbondanza.
Se la disoccupazione è la causa di tutti i problemi sociali, a cominciare dalla criminalità, dalla violenza diffusa e dalle patologie psicosomatiche di cui lo Stato poi si fa carico con costi di degenza ospedaliera che si aggirano dai 2.500 ai 5.000 euro al giorno nella regione Lazio, siamo sicuri che con quella montagna di denari (sprecata anche soltanto nella sanità senza parlare di giustizia e di galera intasata da svuotare tre volte l'anno), lo Stato non ce la farebbe a tenere occupati e retribuiti tutti gli italiani e pure gli immigrati e i turisti di passaggio?
L’assegno sociale che corrisponde ai pensionati al minimo è di 400 euro mensili. Quindi, in un giorno di degenza ospedaliera lo Stato sperpera l'equivalente di un anno di pensione sociale. Me lo spiegate voi perché per 64 anni questo capolavoro di Stato (e per fortuna che lo chiamano "di diritto") s'è rifiutato pervicacemente di accrescere la spesa sociale aiutando gli italiani in difficoltà, invece di ingrassare al limite dell’indecenza i privilegi, gli sprechi e le ruberie della burocrazia e della finanza?
E lo stesso discorso vale per la scuola. Una volta i veri professori erano gli artigiani, che in un colpo solo ti davano istruzione imprenditoriale e posto di lavoro (ma a 21 anni tutti si licenziavano per avviarsi la propria  impresa e assumere apprendisti). Lo Stato ha fatto in modo di estinguere quasi totalmente la razza degli artigiani, per garantire ai professori il monopolio della formazione e del miraggio del lavoro fisso, salvo poi consigliare ai laureati ormai rassegnati, di costituirsi da autonomi una s.r.l. al prezzo di 1 euro, anziché cercarsi un introvabile e monotono posto da dipendente.
Non lo è e non lo è stato per i professori che si sono fatti quaranta anni di noia di stipendio fisso (per formare milioni di laureati con la fissazione del miraggio cattedra) e poi sono passati alla noia della pensione fissa, di cui poverini andrebbero liberati perché hanno creato un modello di Stato che distrugge occupazione invece di crearla: serve solo da stipendificio per professori, dottori, burocrati vari, politici, giudici, derivati e affini.
Il capitalismo ha garantito al comunismo un alibi di ferro a giustificazione del suo fallimento: ha combattuto e ha perso la guerra fredda di mezzo secolo fra est e ovest. 
Ma il capitalismo occidentale che si sta afflosciando da sé come una ricotta annacquata, a quale nemico fantasma potrà imputare il suo default a 360 gradi, se non alle teste d’uovo della classe dirigente con dentro il pulcino abortito? Oppure è stato Bin Laden a fare lo sgambetto all’America per far cadere l'Europa?
Millenni di cultura sono serviti per mettere a punto un solo sistema capace di salvare il popolo senza distruggere lo Stato: il sistema comunista, ma poi usato con metodi criminali dice l’Occidente. Mentre lo Stato di diritto capitalista, ammazza un intero popolo di ingiustizia sociale e affoga lo Stato nei debiti illudendosi di salvare la burocrazia e le multinazionali del potere privato, culturale ed economico, tassando, spendendo, rubando.
E' tutto qua il miracolo della cultura occidentale e dello Stato truffa a norma di legge: salva i lupi del potere offrendogli in pasto un intero popolo di agnelli, a cui negare lavoro, sussidio, dignità o almeno una parvenza di giustizia.
Se non è servita molta fantasia per considerare criminale il comunismo russo che pure salvò popolo e Stato per 75 anni fronteggiando il nemico America (cosa non da poco); di fantasia ne servono vagoni per considerare legale il capitalismo e in primis quello italiano che ha indebitato lo Stato fino all’indecenza, (non si è fatto mai mancare dai 10 ai 15 milioni di poveri, e un 30% di giovani disoccupati) senza riuscire nemmeno a salvare la sua burocrazia, ormai straripante di precari e col rischio di doverli licenziare, come e più della Grecia.
Ma la differenza che più salta agli occhi, è che lo Stato comunista era un datore di lavoro vero: assumeva, produceva, spendeva. Lo Stato capitalista è solo caporale: assume lui, poi si dimentica di produrre ricchezza, e paga e sperpera e ruba con i soldi di pantalone.
Il comunismo usava mezzi criminali per fini legali: salvare popolo e Stato; il capitalismo ha trovato comoda la formula inversa, usa mezzi legali ma per fini criminali: salvare solo burocrati e banchieri. Ma finito l'alibi della guerra fredda, della Russia da combattere, l'Occidente rischia di disfarsi come una ricotta malfatta, perchè forma solo dipendenti, ma pretende che competano da imprenditori, per scorticarli vivi di tasse. Campa cavallo!!!









venerdì 10 febbraio 2012

Alla politica manca il viagra



Alla politica manca il viagra
E' impressionante il numero di italiani che fanno politica o la commentano da giornalisti. Ne avremmo d'avanzo persino per governare il mondo, ma non riusciamo a tenere in piedi nemmeno il comune di roccacannuccia perchè gli addetti ai lavori comunisti e liberali, eternamente in guerra, figliano problemi invece di soluzioni.
Sono come quella coppia di sposini freschi che si costruirono un divisorio di legno sul letto matrimoniale per evitare una gravidanza gemellare alla moglie che era magrolina e delicata e il marito un bestione. E ogni mese la signora faceva il test per controllare se era incinta. Finchè i parenti, dopo un anno di test negativi, capirono il problema e infilarono una cassetta porno nel videoregistratore per insegnarli che i figli si fanno in due, ma non a distanza di sicurezza.
Ed è allucinante vedere la politica italiana, ma direi Occidentale, come metafora dei due sposini che per evitare di figliare troppo, non figliarono mai. Siamo così malridotti, perchè chi si occupa del governo dei popoli non si pone il problema di cosa serve alla gente per vivere, ma di cosa serve allo Stato per non morire.
E dovendo servire un solo soggetto giuridico, le cui patologie sono rilevabili e misurabili fino all'ultimo centesimo di euro, ci vuole poco a decidere se va meglio la pietanza politica comunista o la liberale.
Se invece i politici si ponessero il problema di cosa serve al popolo per vivere economicamente lui e di riflesso lo Stato, si renderebbero conto che il solo comunismo o il solo liberismo sono terapie parziali e quindi eccellenti per uccidere popolo e Stato.
Sono talmente complesse le esigenze di un popolo, che solo usando tutta la farmacopea politica conosciuta e sconosciuta si può sperare di ingravidare e partorire soluzioni che non tappino un buco qua aprendone due da un'altra parte.
Qualunque miracolo formativo abbia fatto l'istruzione e continuato l'informazione, nel popolo c'è sempre una miscela di soggetti dipendenti allergici alla competizione (pure se le s.r.l. a costo zero gliele semini come volantini da un elicottero) e di soggetti autonomi che al lavoro dipendente (monotono dice Monti) preferirebbero il suicidio.
E quindi il solo governo liberale rischia di lasciare disoccupati i dipendenti, così come il governo comunista ne garantisce l'occupazione, ma portando gli autonomi alla bancarotta.
Insomma, fare politica è come preparare il pranzo in un asilo dove ci sono neonati che si accontentano di una porzione di latte e maestre che reclamano un piatto di lasagna e magari pure col bis.
Il solo comunismo andrebbe da dio se fossimo tutti dipendenti, ma ci vuole anche il liberismo vero per rendere gli imprenditori recettivi di manodopera, produttivi di profitti e contributivi di tasse.
Ecco perchè l'Italia non figlia soluzioni politiche nemmeno con una confezione industriale di viagra. Perchè la guerra fredda è finita fra Russia e America, ma non è ancora finita fra comunisti e liberali, e forse non finirà mai.
Il muro di cemento che separa i nostri coniugi della politica, è efficacissimo per evitare all'Italia il parto di soluzioni economiche gemellari (che lungi sia potrebbero essere buone per lavoratori e padroni), ma non evita affatto quello della moltiplicazione esponenziale dei problemi che spingono piano piano, senza fretta, popolo e Stato verso il default.