sabato 30 maggio 2015

Che Dio ci salvi dai "salvatori mondiali"


Che Dio ci salvi dai “salvatori mondiali

La buona politica è così maledettamente semplice che se non fosse mischiata alla cattiva, per rendere contorto e astruso qualunque sistema sociale, i popoli si addormenterebbero in piedi per mancanza di stimoli. Invece così in piedi ci rimangono e con gli occhi sbarrati pure la notte, cercando disperatamente la salvezza nella lotta o nella fuga.
Un tale diceva (non ricordo se Gobetti o Gramsci) che “la storia insegna ma non ha scolari”. E quindi, chi non avesse la vocazione del guerriero suicida o del coniglio gambalesta, dovrebbe improvvisarsi discente e lasciarsi istruire dalla storia.
Che se un popolo, nel risanare il suo sistema sociale dopo una guerra o una rivoluzione, si da, anche solo per un decennio, una classe politica “debole con i forti”; dopo si ritrova con un sistema socio-economico in disfacimento crescente, ingovernabile, e quindi governabile con la solita politica “forte con i deboli”, efficace come il pediluvio nella cura del tumore al cervello, allunga l’agonia del sistema anche di un secolo, ma senza riuscire ad impedirne il decesso.
Gli insegnamenti della storia nazifascista e poi comunista basterebbero a lavare qualunque dubbio anche allo scemo del paese se fosse lui a governare. Se inizialmente la politica si appoggia a saggi e ricchi, poi quel bastone non può più rifiutarlo, e il diritto di rimanere al potere non può che conquistarselo con la solita politica demenziale, terrorizzando e sfruttando la massa dei piccoli produttori di ricchezza, e condannando il sistema al solito tragico epilogo fatto di recessioni, stagnazioni, default, o peggio, rivoluzione o peggio guerra.
Nemmeno un miliardo di geni riesce a salvare un popolo di quattro gatti, se la politica ha spostato troppo potere da chi produce a chi consuma: “dagli imprenditori ai prenditori”. Perché in piedi ci resta solo il Vaticano, per un miracolo personale del Padreterno; se la politica, con una burocrazia e finanza ossessiva impedisce agli adulti di lavorare, produrre ricchezza onesta, mantenere famiglie oneste, pagare tasse oneste e conservare popolo e Stato.
Di soluzioni politiche alternative ve ne sono miliardi, ma sono tutte toppe peggiori del buco. Si può anche invertire la funzione fra popolo e Stato: lo Stato pensiona tutti dal neonato al nonno, il popolo incassa, l’economia sembra uscire dal coma, ma poi si accascia, perché è come portare l’asino sul campanile della chiesa a mangiarsi l’unico zangone disponibile, dicevano i saggi veri di una volta.
Se non c’è una mano magica che stringe il rubinetto dei privilegi a ricchi e potenti, per i piccoli produttori di ricchezza e quindi per la grande massa dei lavoratori dipendenti, c’è solo navigazione tappa falle col ....

Un futuro a tempo indeterminato c’è solo per chi scappa da l’Italia e dalla UE. Basta contare quanti “salvatori mondiali” si stanno alternando al capezzale della povera Grecia a rischio default, per succhiare risorse, fingendo di pomparle. E alla fine ci diranno: “l’operazione è perfettamente riuscita ma la paziente è schiattata”. Passiamo a salvare l’Italia? No grazie, voi no.

giovedì 21 maggio 2015

La democrazia divora se stessa?

La democrazia divora se stessa?

La democrazia, che è il meglio, del meglio, del meglio di tutta la scienza politica umana, ha più di 26 secoli di onorato servizio, (essendo antecedente a Platone di un secolo e mezzo, così dicono gli esperti). E pure in Italia siamo ancora così ossessionati dal mal funzionamento della democrazia, da mettere in discussione non solo la capacità di governo di qualunque Premier, ma persino la democraticità della democrazia, la costituzionalità della legge elettorale e per buona misura, pure la legalità della Costituzione.
Che è come criticare chi guida male su strada un’automobile, ma l’automobile non è stata ancora progettata, tornita, stampata, montata, collaudata su strada a regola d’arte. Insomma, imputiamo ai Premier l’incapacità di governare i sistemi democratici, che dopo più di 26 secoli non sono ancora dei prodotti finiti e affidabili, ma dei rozzi semilavorati, posto che filosofi, giuristi ed economisti ancora mettono in discussione la loro scientificità. Sono fantascienza comunista o liberale, mai diventata scienza.
In Italia, negli ultimi sette decenni, la politica ha ridotto lo Stato ad un cumulo di macerie, perché la lotta fra ideologie contrapposte si è sviluppata nel potere esecutivo, ma originata, affiancata e sostenuta da quello culturale, partendo dai filosofi, costituzionalisti, economisti e forse pure maestri d’asilo, impegnati a difendere la Costituzione e la legge elettorale, o a pretendere di stravolgere tutto. Ma il "porcellum" ce lo siamo goduto.
Per mezzo secolo, nella Prima Repubblica, gli intellettuali italiani “dal naso sopraffino” non hanno mai avvertito nella politica manco un leggero tanfo di totalitarismo, né i giudici, di crimine; mentre hanno iniziato ad avvertire una puzza insopportabile di antidemocraticità e illegalità diffusa, solo con l’arrivo di Berlusconi, (poi con Monti e Fornero tutto è tornato igienico, profumato e funzionante come un orologio svizzero), e ora con Renzi sentono quasi un tanfo di putrefazione, perché la politica sta tentando timidamente di curare i problemi che potrebbero anche essere incurabili, mentre gli intellettuali si accapigliano ancora per stabilire se i guasti italiani sono di natura economica, giuridica o addirittura filosofica.
E su l’Opinione del 14/5/2015, il prof. Massimo Negrotti, osservando lo stato della politica italiana, ha titolato un articolo a dir poco allucinante: “Se la democrazia divora se stessa”. Come dire, che quando la politica è alla sua massima produttività di corruzione e sfascio (vedi Prima Repubblica DC-PS consociata PCI) la sua democraticità è inossidabile e incontestabile. Invece diventa sfacciatamente antidemocratica (vedi Seconda Repubblica) con Renzi che tenta timidamente di mettere ordine a sette decenni di caos, ma non può che fallire alla grande.
E con queste inequivocabili parole il prof Negrotti giustifica il titolo così impegnativo: “A contrastare o controllare l’azione della maggioranza parlamentare, e del Governo, sono rimasti solo pezzi di opposizione ma non “una” opposizione. Il Pd assomiglia, dunque, a una grossa gallina con tanti pulcini attorno, alcuni buoni e consenzienti e altri permalosi e punzecchianti, ma nulla di più.”  Come dire: ci siamo fumati il governo del popolo, che esiste solo se maggioranza e opposizione coesistono, si bilanciano, si alternano, e pazienza se si impediscono reciprocamente qualunque forma di governo onesto e intelligente come hanno fatto nella Prima Repubblica e proseguono nella Seconda.
Allora forse dovremmo iniziare a temere la democrazia come una specie di barcone scassato ammazza immigrati; posto che non lascia agli elettori la libertà di muoversi in massa a destra o a sinistra generando il consenso necessario per buttare a mare gli scafisti della politica cattiva.
Per non rischiare il capovolgimento della barca, in “democrazia che divora se stessa”, devono rimanere immobili, devono turarsi il naso, votare e morire DC come si diceva una volta, devono rassegnarsi a convivere con tracce di benefattori e valanghe di malfattori, a destra e a sinistra come nella Prima Repubblica.
E augurandosi che i Di Pietro della magistratura, non facciano danni privandoli dei malfattori, per non scatenare quel finimondo che dura ormai da un ventennio, e culminato nella forma patologica di “democrazia che divora se stessa”.

Perché se il meglio, del meglio, del meglio, della scienza politica democratica è tutto qua; io, a naso, temo che prima della politica di Renzi, andrebbe messa in discussione l’intera ingegneria filosofica (da cui ha origine qualunque politica fasulla), da Solone a Bobbio, e passando per Platone, Marx, Rousseau e compagni, e sempre che non sia già tardi anche per le parole, come da decenni, lo è per i fatti.

giovedì 7 maggio 2015

Chi ha staccato i vagoni dalla locomotiva


Chi ha staccato i vagoni dalla locomotiva
Cosa è cambiato realmente da l’uomo delle caverne a quello delle conquiste spaziali e comunicazioni globali, non è facile stabilirlo. Ma su una cosa possiamo scommettere: la cultura occidentale ha avuto il merito di sterminare la pubblicizzata razza dei “cimabue”, quelli che facevano una cosa ma ne sbagliavano due, e l’ha sostituita con quella dei tecnici, “progettisti e piloti di sistemi complessi”, così mostruosamente intelligenti, da indurre il grande Luigi Einaudi a questa rassegnata conclusione: “il mondo non è mosso, come da molti si crede, dagli interessi, ma dalle idee; e quelle che muovono e fanno agire gli uomini, non è certo siano sempre feconde, anzi non è piccola la probabilità che le idee generatrici di moto siano più facilmente quelle infantili e distruttive ma popolari che non quelle fornite di spirito di verità”.
Come dire che la cultura ha soppresso la rarissima razza naturale degli ignoranti, e l’ha sostituita con una di “tecnici”, tanto falsamente esperti in riforme della scuola, sanità, trasporti, lavoro, finanza, previdenza, ecc., da scatenare autentiche catastrofi socio-economiche, salvo poi scandalizzarsi perché la politica, continua a ricucire gli strappi, con toppe peggiori del buco.
E fra le “migliori idee dei geni della cultura”, c’è quella politico sindacale che ha sganciato il lavoro dal capitale, considerando il salario una “variabile indipendente dal mercato”, con la nobile intenzione di mettere al riparo i poveri lavoratori, da sfruttatori, affaristi, corruttori e strozzini.
E per oltre mezzo secolo questa idea ha funzionato “da dio” in tutte le democrazie occidentali che così si sono guadagnate il titolo di potenze mondiali, solidali, ricche, progredite, pacifiche, garantiste, ecc. ecc.
Poi s’è capito che rendere il lavoro e il relativo salario, indipendente dalla reale quantità di ricchezza che riesce a restituire al capitale, è una benedizione per i banchieri e una iattura per il lavoratori.
Perché staccare i vagoni (degli affamati di salario), dalla locomotiva (dei ladri di profitti) è come fermare i vagoni e accelerare la locomotiva. Ma ora che le sofferenze finanziarie e le recessioni e stagnazioni ammazza popoli e Stati si estendono per interi continenti, ci converrà sospettare che Einaudi possa aver centrato il problema dei problemi con largo anticipo, quando nessuno si sognava ancora di riconoscere al mondo del lavoro il sacrosanto diritto di fare danni miliardari, producendo meno di quanto incassa, e alla impresa, finanza e politica, il dovere di tappare le falle in maniera delinquenziale, con la corruzione, o col fondoschiena, come i marinai su una nave in affondamento.
L’idea infantile e distruttiva del salario come variabile indipendente, dopo mezzo secolo sembra aver esaurito la sua mostruosa forza d’inerzia. Il treno del lavoro carente, e della produttività calante, sembra un asino che ormai non si lascia smuovere nemmeno a bastonate.
Senza il peso dei vagoni salariali e imprenditoriali ormai in prefallimento o falliti; il locomotore finanziario viaggia che è una bellezza in giro per il mondo comprando debiti sovrani o interi Stati, (vedi Grecia), e macinando profitti usurai a spese dei contribuenti sempre più squattrinati.
Ad onor del vero va detto che senza sindacalismo il mondo del lavoro sarebbe ancora arretrato di un secolo o un millennio. I vantaggi acquisiti sono evidenti, ma c’è un piccolo inghippo. I banchieri arricchiscono sempre e comunque a spese dei lavoratori, dei disoccupati e persino dei barboni. E non c’è sindacato capace di infilare per un attimo le mani nelle tasche dei banchieri, che invece le tengono fisse nelle tasche dei lavoratori e dei falliti fino allo  sfondamento.
Se lavorando, un popolo produce ricchezza, non può che destinare una parte dei profitti alle banche che hanno finanziato. Ma se una grossa fetta di lavoratori resta improduttiva, i banchieri filantropi disposti a pagarne il mantenimento non li hanno ancora inventati.
Come dire, che il capitale è libero e indipendente dal lavoro, da sempre. Ma fare del lavoro una variabile altrettanto indipendente, è stata l’idea politico-sindacale che ha fatto muovere di più il mondo, ma verso l’abisso, come ogni idea infantile e distruttiva” che si rispetti.
Perciò, chi, con funzione di classe dirigente, in questo settantennio di presunta democrazia, ha contribuito a fare l’Italia e quegli italiani che il Primo Maggio scorso hanno devastato Milano, provi a rivolgersi questa domanda: se la democrazia ha la funzione di garantire prosperità, giustizia e pace a tutti i cittadini senza discriminazioni ed esclusioni; io, da politico, giudice, burocrate, sindacalista, giornalista, industriale, banchiere, ho contribuito a rendere cattivo chi oggi combatte l’Italia come una brutta matrigna, oppure o reso buono, chi con l’EXPO tenta di venderla come madre degna di contribuire alla soluzione della fame mondiale?
Certo, quale che sia la risposta che vi darete, ci vorrà almeno un secolo prima che la storia ci racconti il vero, su ragioni e torti di chi ha sporcato Milano, e di chi tenta ancora di venderla come Milano “da bere”.
Ma una cosa è chiara da subito: non vive con i piedi per terra chi ha pensato di far coincidere l’inaugurazione dell’Expo, con la festa del Primo Maggio, ormai ridotta a funerale dell’occupazione e della giustizia sociale italiana, per il numero incalcolabile di vittime del lavoro inesistente e della povertà galoppante (oltre il 50% di giovani disoccupati), per la generale negazione dei diritti essenziali, della giustizia a babbo morto, della rapacità fiscale e povertà fuori controllo.
No, non sapremo mai quanti italiani hanno gioito per il successo dei buoni e bravi all’Expo, e quanti hanno tifato per gli sporchi, brutti e cattivi che hanno rovinato l’immagine del Belpaese passando per Milano. Ma se mamma Italia continua a discriminare due diversissime razze di figli: “i potenti con licenza di stuprare economicamente il prossimo a norma di legge”, e “gli impotenti di pagarne gli effetti”, vuol dire che qua la giustizia e la pace sociale sono sicuramente al settimo decennio di gestazione, ma ipotizzarne il parto anche solo per fine millennio, è pura utopia.
Chi, sindacalista, economista, politico o giudice, ha pensato giusto e nobile proteggere le masse dei lavoratori fino a costringerli per legge ad essere sempre più irresponsabili, costosi e improduttivi per imprenditori e banchieri, si è sopravvalutato parecchio.
Perché ora che ha guastato il giocattolo dell’economia occidentale, zavorrando gli Stati di debiti per mantenere ladri e fannulloni, pubblici e privati, non è più in grado di governare, né la fame degli incolpevoli lavoratori, disoccupati, sottoccupati, "esodati" e pensionati, né la conseguente ferocia degli industriali e banchieri, che, (a differenza dei piccoli imprenditori suicidi, che levano il disturbo senza un lamento) non avendo voglia di annegare in una crisi economica mondiale, miliardi di volte più devastante di quella del 29, venderanno cara la pelle.