sabato 25 ottobre 2014

La "casta" degli impotenti


La casta degli impotenti

Non ho gli strumenti per dipanare questo rompicapo; ma credo che se l’idea democratica ha totalizzato svariati millenni di onorato servizio, è perché ha fornito ai popoli ottime occasioni per socializzare, produrre e vivere, anche se da qualche secolo sta fornendo in alternativa anche buone opportunità per delinquere.
E per tentare di risalire alle vere cause di questa involuzione, devastante per i popoli e per i singoli individui che vi oppongono resistenza morale, credo si debba partire da questa domanda: un potere che viene sindacato, ostacolato e condizionato, in modo che si possa esercitare soltanto sotto dettatura, può dirsi veramente potere reale?  Io, nella mia ignoranza, temo che no!!!
Sarebbe vero il potere dei professori, se i programmi, le promozioni e le bocciature le decidessero gli alunni? E se fossero gli indagati a legittimare il potere giudiziario, si arriverebbe mai ad una condanna? E se fossero gli imprenditori, a decidere a chi concedere o negare il credito, quello dei banchieri che potere sarebbe?
Quindi, un potere condizionato ossessivamente, non solo dopo l’esercizio, (quando è giusto promuoverlo o bocciarlo), ma prima, durante, di giorno, di notte e sempre, non può che essere finto: chiunque lo eserciti per governare un popolo, non può che sfasciare lo Stato.
Provate a chiedervi, quale categoria di cittadini italiani, dagli ignoranti ai professori, dai sindacalisti ai banchieri, dai burocrati ai giudici, ha mai preteso che la politica tassi il popolo per risanare lo Stato. Pretendiamo che la politica tassi lo Stato, (fosse pure strafallito) per mantenere i poveri, ma senza scippare un solo privilegio ai garantiti, a l’intera classe dirigente, ai sindacalisti, ai banchieri e alle multinazionali.
Ogni elettore che ha il potere di promuovere o bocciare quotidianamente la politica sui media e poi nelle cabine elettorali, non chiede ai politici in che modo lui può contribuire al funzionamento dello Stato, ma in che misura lo Stato deve farsi carico delle sue necessità primarie se è un dipendente sindacalizzato, o della sua incurabile fame di arricchimento e di potere se è un burocrate, un giudice, un banchiere, un industriale.
Quindi, quello che gli elettori italiani mettono in mano agli eletti non è più il potere di governare in nome e per conto del popolo, ma una truffa, “una sola”, detta in romanesco. L’unica richiesta che in massa si fa al Premier, è di allentare i cordoni della borsa pubblica sfondata a favore delle categorie sociali disagiate, ma senza alleggerire di un centesimo bucato le privilegiate. E questo la dice lunga su l’impossibilità di governare il popolo, senza sfasciare lo Stato, o rimandarne il risanamento ad un millennio da stabilirsi. 
Quando il condizionamento mediatico, giudiziario, sindacale, congiunto e quotidiano non era ancora ossessivo come adesso; un tale diceva che nelle cabine elettorali i popoli democratici non entrano per cedere in uso alla politica il proprio potere sovrano, ma per truffare se stessi, per ridurre i finti potenti della politica in impotenti veri, costringendoli a governare le singole classi sociali, i singoli territori, le singole realtà economiche, e persino singole famiglie e singoli “sporchissimi” interessi particolari, sfasciando lo Stato.
E se pure dobbiamo ammetterlo che non esiste alternativa alla democrazia; rischiamo poi di rimpiangere le dittature sanguinarie, perché da perfetti suicidi tendiamo a capovolgere le responsabilità dello sfascio auto prodotto, incolpando  la “casta” dei finti potenti politici, a cui le caste vere del sindacato, stampa, burocrazia e finanza, hanno quotidianamente consentito di rubare un pochino per sé, ma avendogli imposto di tenere a tempo pieno la cassaforte dello Stato spalancata, perché l’intera classe dirigente possa attingervi refurtiva, magari a norma di legge, (come i premiati di Genova per la migliore catastrofe) e a spese di quel fesso del popolo bue poi costretto a delinquere per non soccombere alla mungitura fiscale.

Insomma diciamocela chiara chiara, i sistemi democratici ormai offrono ai politici onesti più occasioni per delinquere che per governare, perché il flusso del potere reale arriva alla politica come un rubinetto gocciolante, strozzato da mille sbarramenti e occlusioni creati apposta per condizionare “la casta degli impotenti” e piegarla all’interesse dei mille potentati finanziari, burocratici, sindacali e mediatici, tutti esperti, anzi geni in fatto di macelleria sociale.

sabato 18 ottobre 2014

Comunismo e liberismo a confronto


Comunismo e liberismo a confronto
In Italia, qualche voce comunista fuori dal coro, incomincia ad ammettere, sia pure con ritardo di un quarto di secolo, che il comunismo è stato una “tragica illusione”; però a giudicare da come sta messo il cosiddetto Occidente progredito, c’è la possibilità che il nostro liberismo in salsa comunista evolva come un salto mortale dalla padella alla brace.
Perché è vero che la Russia è morta di comunismo, ma ha protetto per un secolo i lavoratori accoppando giuridicamente i padroni e garantendo a tutti, istruzione, lavoro, salute, famiglia, futuro; mentre nella UE, avendo scelto di usare i padroni da asini per farli produrre liberamente ricchezza e poi sfruttarli o ucciderli di sindacalismo selvaggio, burocrazia irresponsabile, ingovernabile e irriformabile a sentire Cottarelli, e tasse rapina, ormai politici e giudici fanno una fatica cane a proteggere persino se stessi e inventarsi un futuro per i loro figli e nipoti.
Lasciando banchieri e industriali liberi di interagire per produrre, è come li avessero spediti in guerra: posto che gli industriali puntano a liberarsi dalla costosa dipendenza bancaria producendo ricchezza propria; mentre i banchieri, in complicità con la politica o peggio la burocrazia, lavorano per ricreare le condizioni di disagio giuridico ed economico che tengano gli imprenditori legati al credito bancario come il cane alla catena.
E come è ovvio gli effetti negativi della guerra fra le due razze padrone, condannate a combattersi avendo finalità in conflitto, finiscono scaricati sui lavoratori, che prima dei trenta anni non trovano lavoro e prima dei cinquanta lo perdono. Senza contare l’ultima generazione di giovani che per metà rimarrà o precaria o peggio disoccupata a vita.
Nella UE non l’abbiamo e non l’avremo mai la più pallida idea di quanto sia costata ai lavoratori dell’ex mondo comunista la tragica illusione egualitaria del comunismo. Ma se loro vogliono un assaggio del nostro paradisiaco “comunismo liberista”, che vengano in Italia e toccheranno con mano le inesauribili opportunità occupazionali, i salari esplosivi, le imprese che non sanno come smaltire le montagne di profitti nei cassonetti delle immondizie, gli investitori stranieri che si accalcano alla frontiera carichi di soldi e ci tocca spararli per disperderli, mentre le banche che avrebbero bisogno di recessioni e stagnazioni pilotate per conservarsi la clientela bisognosa di finanziamenti, sono sempre a caccia di aiuti di Stato per non fallire a grappoli, o emigrare in Cina.
Sartre diceva, “quando i ricchi si fanno la guerra, sono i poveri a morire”. Bene, anzi male: nella UE siamo messi proprio così. Abbiamo svariati fronti di guerra. Le banche filocomuniste, mettono in difficoltà le imprese filoliberali. Così i Paesi ricchi possono sfruttare i popoli e gli Stati poveri con spread strozzino: vedi Grecia, Italia, Spagna ecc.

Soluzione: costringere le banche e le imprese a firmare l’armistizio; o nazionalizzare le banche, per evitare che le imprese e i loro incolpevoli dipendenti finiscano impiccati tre volte, di “burocraziatassi e tasse”.

sabato 4 ottobre 2014

Chi ha il potere di cambiare: la politica o la cultura?


Chi ha il potere di cambiare: la politica o la cultura?

Osservando che in democrazia la discontinuità politica, cioè l’alternanza di destra e sinistra al governo del Paese è impedita di fatto dalla continuità culturale e giuridica incancellabile come religione, ho incominciato a sospettare che forse Platone ci aveva visto giusto: il vero potere di cambiare lo Stato lo hanno solo i filosofi, unici in grado di cambiare i cervelli.
Se la politica che ha il potere di legiferare, e la giustizia di giudicare, devono farlo entrambe nel rispetto dell’Atto Costitutivo dello Stato che è unico; come può un popolo darsi una diversa politica e giustizia, se la Costituzione a cui devono ispirarsi leggi e sentenze è unica, sia per comunisti che per liberali?
Va da se, che a farla da padrona in un sistema sociale non è la politica e nemmeno la giustizia, ma la cultura dominante, che avendo implementato i cervelli dell’intero popolo lo induce, a colpi di informazione, leggi e sentenze, a difendere il comunismo e combattere il liberismo o viceversa.
In Italia, cultura, leggi e Costituzione sono sinonimo di comunismo. Quindi ogni offerta di diversa politica è una truffa, e una giustizia diversa, in senso liberale, sarebbe fuorilegge. Questa è la sola ragione per cui gli ex politici comunisti come Bertinotti scacciano apertamente il comunismo dalla porta, ma in massa vi rientra dalla finestra. In Italia nessuno vuole responsabilità liberale, tutti sparano a vista su chi tocca i privilegi dei privilegiati della classe dirigente “onesta” e persino la loro refurtiva. E l’art. 18 è quasi intoccabile quanto i fili dell’alta tensione.
Quindi in democrazia, spetta alla cultura l’arduo compito di cambiare la politica, non viceversa. Dove la cultura comunista prevale, non solo la politica comunista non schiatta, ma è in perfetta salute, anche se nel resto del mondo il comunismo è schiattato da un quarto di secolo, e i Bertinotti italiani vi hanno coraggiosamente posato la lapide e il mazzo di fiori. Schiatta la cultura e la politica liberale, che tutti, (liberisti compresi) vogliono di giorno ma combattono di notte.
Quindi, se la cultura e derivati, (cioè il sistema legislativo e la Costituzione), sono nati difettosi, inclinati a destra o a sinistra come una Torre di Pisa per favorire una classe sociale a danno dell’altra, sono assassini: portano il sistema alla bancarotta, perché consentono solo a parole l’alternanza delle classi sociali al potere e quindi la discontinuità fra comunismo e liberismo: ma se qualcuno osa correggere quella inclinazione, viene combattuto e bloccato come un pericolo pubblico, un avanzo di galera.
Allora possiamo concludere che nelle democrazie cultura e Costituzione, sono un baluardo insuperabile contro qualunque politica che osasse attentare alla conservazione del sistema, anche se questo è fallito e sta per venire giù come una ricotta malfatta.
Dopo la catastrofe del nazifascismo, la cultura e la Costituzione di molti paesi europei, Italia in primis, hanno giustamente corretto il loro baricentro destrorso inclinando a sinistra, e tale è rimasto. Così oggi la destra si arrampica sugli specchi per cercarsi il consenso criminalizzando in fila indiana sindacalisti, burocrati e giudici. I liberali non si rendono conto che gli unici soggetti legali in un sistema comunista non possono che essere i comunisti. Essendo libero il pensiero, tutti siamo liberi di pensare come diavolo ci pare, ma nel rispetto di una Costituzione comunista, si legifera e sentenzia solo in senso comunista.
Ecco perché in Italia l’intera classe dirigente spara ad alzo zero per uccidere anche eventuali spermatozoi di politica liberale. Vedi il super potente Berlusconi: voleva rivoltare l’Italia come un calzino, ma è finito rivoltato: era, è, e sarà culturalmente libero di sparare le proprie “cazzate” liberali ai quattro venti, ma giuridicamente era, è, e rimarrà ostaggio delle altrui politiche comuniste.
E il grande Luigi Einaudi aveva capito che “il mondo non è mosso, come da molti si crede, dagli interessi, ma dalle idee; e quelle che muovono e fanno agire gli uomini, non è certo siano sempre quelle feconde, anzi non è piccola la probabilità che le idee generatrici di moto siano più facilmente quelle infantili e distruttive ma popolari che non quelle fornite di spirito di verità”.
Parole sante. I nostri politici sembrano avere un potere smisurato di fare e disfare l’Italia a loro piacimento; ma lo hanno nella precisa identica misura in cui i professori hanno saputo e voluto cimentarsi nelle sette fatiche di Ercole del fare gli italiani. O no?