giovedì 7 maggio 2015

Chi ha staccato i vagoni dalla locomotiva


Chi ha staccato i vagoni dalla locomotiva
Cosa è cambiato realmente da l’uomo delle caverne a quello delle conquiste spaziali e comunicazioni globali, non è facile stabilirlo. Ma su una cosa possiamo scommettere: la cultura occidentale ha avuto il merito di sterminare la pubblicizzata razza dei “cimabue”, quelli che facevano una cosa ma ne sbagliavano due, e l’ha sostituita con quella dei tecnici, “progettisti e piloti di sistemi complessi”, così mostruosamente intelligenti, da indurre il grande Luigi Einaudi a questa rassegnata conclusione: “il mondo non è mosso, come da molti si crede, dagli interessi, ma dalle idee; e quelle che muovono e fanno agire gli uomini, non è certo siano sempre feconde, anzi non è piccola la probabilità che le idee generatrici di moto siano più facilmente quelle infantili e distruttive ma popolari che non quelle fornite di spirito di verità”.
Come dire che la cultura ha soppresso la rarissima razza naturale degli ignoranti, e l’ha sostituita con una di “tecnici”, tanto falsamente esperti in riforme della scuola, sanità, trasporti, lavoro, finanza, previdenza, ecc., da scatenare autentiche catastrofi socio-economiche, salvo poi scandalizzarsi perché la politica, continua a ricucire gli strappi, con toppe peggiori del buco.
E fra le “migliori idee dei geni della cultura”, c’è quella politico sindacale che ha sganciato il lavoro dal capitale, considerando il salario una “variabile indipendente dal mercato”, con la nobile intenzione di mettere al riparo i poveri lavoratori, da sfruttatori, affaristi, corruttori e strozzini.
E per oltre mezzo secolo questa idea ha funzionato “da dio” in tutte le democrazie occidentali che così si sono guadagnate il titolo di potenze mondiali, solidali, ricche, progredite, pacifiche, garantiste, ecc. ecc.
Poi s’è capito che rendere il lavoro e il relativo salario, indipendente dalla reale quantità di ricchezza che riesce a restituire al capitale, è una benedizione per i banchieri e una iattura per il lavoratori.
Perché staccare i vagoni (degli affamati di salario), dalla locomotiva (dei ladri di profitti) è come fermare i vagoni e accelerare la locomotiva. Ma ora che le sofferenze finanziarie e le recessioni e stagnazioni ammazza popoli e Stati si estendono per interi continenti, ci converrà sospettare che Einaudi possa aver centrato il problema dei problemi con largo anticipo, quando nessuno si sognava ancora di riconoscere al mondo del lavoro il sacrosanto diritto di fare danni miliardari, producendo meno di quanto incassa, e alla impresa, finanza e politica, il dovere di tappare le falle in maniera delinquenziale, con la corruzione, o col fondoschiena, come i marinai su una nave in affondamento.
L’idea infantile e distruttiva del salario come variabile indipendente, dopo mezzo secolo sembra aver esaurito la sua mostruosa forza d’inerzia. Il treno del lavoro carente, e della produttività calante, sembra un asino che ormai non si lascia smuovere nemmeno a bastonate.
Senza il peso dei vagoni salariali e imprenditoriali ormai in prefallimento o falliti; il locomotore finanziario viaggia che è una bellezza in giro per il mondo comprando debiti sovrani o interi Stati, (vedi Grecia), e macinando profitti usurai a spese dei contribuenti sempre più squattrinati.
Ad onor del vero va detto che senza sindacalismo il mondo del lavoro sarebbe ancora arretrato di un secolo o un millennio. I vantaggi acquisiti sono evidenti, ma c’è un piccolo inghippo. I banchieri arricchiscono sempre e comunque a spese dei lavoratori, dei disoccupati e persino dei barboni. E non c’è sindacato capace di infilare per un attimo le mani nelle tasche dei banchieri, che invece le tengono fisse nelle tasche dei lavoratori e dei falliti fino allo  sfondamento.
Se lavorando, un popolo produce ricchezza, non può che destinare una parte dei profitti alle banche che hanno finanziato. Ma se una grossa fetta di lavoratori resta improduttiva, i banchieri filantropi disposti a pagarne il mantenimento non li hanno ancora inventati.
Come dire, che il capitale è libero e indipendente dal lavoro, da sempre. Ma fare del lavoro una variabile altrettanto indipendente, è stata l’idea politico-sindacale che ha fatto muovere di più il mondo, ma verso l’abisso, come ogni idea infantile e distruttiva” che si rispetti.
Perciò, chi, con funzione di classe dirigente, in questo settantennio di presunta democrazia, ha contribuito a fare l’Italia e quegli italiani che il Primo Maggio scorso hanno devastato Milano, provi a rivolgersi questa domanda: se la democrazia ha la funzione di garantire prosperità, giustizia e pace a tutti i cittadini senza discriminazioni ed esclusioni; io, da politico, giudice, burocrate, sindacalista, giornalista, industriale, banchiere, ho contribuito a rendere cattivo chi oggi combatte l’Italia come una brutta matrigna, oppure o reso buono, chi con l’EXPO tenta di venderla come madre degna di contribuire alla soluzione della fame mondiale?
Certo, quale che sia la risposta che vi darete, ci vorrà almeno un secolo prima che la storia ci racconti il vero, su ragioni e torti di chi ha sporcato Milano, e di chi tenta ancora di venderla come Milano “da bere”.
Ma una cosa è chiara da subito: non vive con i piedi per terra chi ha pensato di far coincidere l’inaugurazione dell’Expo, con la festa del Primo Maggio, ormai ridotta a funerale dell’occupazione e della giustizia sociale italiana, per il numero incalcolabile di vittime del lavoro inesistente e della povertà galoppante (oltre il 50% di giovani disoccupati), per la generale negazione dei diritti essenziali, della giustizia a babbo morto, della rapacità fiscale e povertà fuori controllo.
No, non sapremo mai quanti italiani hanno gioito per il successo dei buoni e bravi all’Expo, e quanti hanno tifato per gli sporchi, brutti e cattivi che hanno rovinato l’immagine del Belpaese passando per Milano. Ma se mamma Italia continua a discriminare due diversissime razze di figli: “i potenti con licenza di stuprare economicamente il prossimo a norma di legge”, e “gli impotenti di pagarne gli effetti”, vuol dire che qua la giustizia e la pace sociale sono sicuramente al settimo decennio di gestazione, ma ipotizzarne il parto anche solo per fine millennio, è pura utopia.
Chi, sindacalista, economista, politico o giudice, ha pensato giusto e nobile proteggere le masse dei lavoratori fino a costringerli per legge ad essere sempre più irresponsabili, costosi e improduttivi per imprenditori e banchieri, si è sopravvalutato parecchio.
Perché ora che ha guastato il giocattolo dell’economia occidentale, zavorrando gli Stati di debiti per mantenere ladri e fannulloni, pubblici e privati, non è più in grado di governare, né la fame degli incolpevoli lavoratori, disoccupati, sottoccupati, "esodati" e pensionati, né la conseguente ferocia degli industriali e banchieri, che, (a differenza dei piccoli imprenditori suicidi, che levano il disturbo senza un lamento) non avendo voglia di annegare in una crisi economica mondiale, miliardi di volte più devastante di quella del 29, venderanno cara la pelle.

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