martedì 17 dicembre 2013

political nonsense


Quando la politica un senso non ce l’ha
Uno Stato comunista che rinuncia al monopolio della produttività di ricchezza, e si converte al liberismo, non dovrebbe avere potere legale di ostacolare la produttività privata o chiudere imprese; perché il valore di una impresa non dipende dal solo imprenditore, ma anche dalle banche che l’hanno finanziata, dagli operai che l’hanno resa produttiva, ma soprattutto dalla burocrazia e professioni che rendono o no il sistema economico competitivo e produttivo.
E poi con quale logica si punisce un imprenditore per i suoi illeciti, scaricando il danno su diecine, centinaia o migliaia di dipendenti che finiscono alla fame o manovalanza del crimine? Le imprese fuorilegge dovrebbero essere commissariate non chiuse.
Anche perché ostacolare o impedire la produttività delle imprese e dei lavoratori, è come lavorare alla distruzione del popolo e dello Stato: è roba da crimine contro l’Umanità, posto che senza soldi si muore.
Le leggi, così come concepite in Italia, sono quanto di più idiota ha pensato l’uomo, perché con esse il legislatore presume che ciò che lui ha pensato nel momento di legiferare, sia realizzabile dal popolo, alla lettera e senza variazioni, pure se la realtà oggettiva è stata sconvolta da una quantità spaventosa di variabili che hanno modificato popolo, territorio e sovranità.
Già, una volta, in condizioni normali, fra il dire e il fare di mezzo c’era il mare. Oggi, fra un progetto politico e la sua realizzazione c’è almeno l’oceano in tempesta, a giudicare non solo dall’alta mortalità delle imprese, ma dalle migliaia di opere pubbliche, curate da burocrazia e politica, rimaste incompiute, alla vigilia del collaudo o affidate ai guastatori liberi di demolirle o depredarle.
Quindi ci vorrebbe molta elasticità nelle imposizioni legislative, oppure si dovrebbe riconoscere al potere giudiziario un margine di discrezionalità nel distinguere le violazioni colpose, dolose o inevitabili quanto una legittima difesa.
Un sistema sociale innovativo e funzionante dovrebbe essere organizzato come una industria automobilistica: che alla progettazione, realizzazione e commercio delle auto, affianca dei centri di manutenzione e riparazione, dove l’opera dei meccanici è ancora più determinante di quella del progettista, perché sono chiamati ad assicurare la reale funzionalità del mezzo, sanando anche eventuali errori di progettazione.
Mentre, gli o-rrori del legislatore, non hanno sul territorio le officine e i meccanici che riparino guasti, avvitino bulloni, cambino pezzi, per evitare che il sistema socio economico finisca paralizzato da leggi che nessuno ha il potere di modificare, né cancellare. (Un esempio allucinante il Porcellum) Le leggi hanno il merito di rendere in teoria tutti i cittadini uguali. Ma siccome di fatto non si nasce e non si diventa mai uguali, allora i tribunali dovrebbero essere le officine meccaniche della legge, o per riparare quelle guaste, o per assicurare impunità a chi, in condizioni estreme di pericolo o di bisogno ha dovuto violarle.
Un sistema sociale vincolato ad un sistema legislativo poco elastico e censurato da una magistratura senza discrezionalità “legale”, è condannato a l’autodistruzione, perché solo il Padreterno è in grado di far seguire ad un progetto, una fedele realizzazione, anche in condizioni socio, politico, economiche, culturali e ambientali, tanto diversificate, da rendere impossibile la posa della prima pietra, o il completamento dell’opera.
Allora ci vorrebbe un potere centrale meno presuntuoso, che non arrivi a pensare che l’evasione delle tasse, nei momenti di drammatica recessione, vada perseguita fino a buttare per strada gli operai e istigare al suicidio l’imprenditore.
Il vero danno non lo crea chi sottrae denari allo Stato per mantenere operai, che licenziati e posti a carico dello Stato costerebbero mille volte di più alla collettività.
Il vero crimine lo commette la politica con leggi che obbligano gli imprenditori a fare profitti in Italia ed esportarli, oppure a creare una florida azienda in Italia sfruttando le capacità degli operai, e poi buttarli a mare e delocalizzarla, perché la politica è tanto idiota da non adeguare il costo dello Stato alle variazioni della produttività, anzi, più cala la competitività e la produttività, più lo Stato tassa le imprese per farle chiudere, fallire o scappare.
Quindi, ciò che manca nei sistemi sociali non sono i legislatori, i progettisti di leggi intelligenti, che per quanto possano esserlo non ci daranno mai leggi perfette. Ma i meccanici giudiziari che le adattino ai bisogni e aspettative del popolo.
Se in una zona povera si impongono le stesse tasse di una ricca, la povera si paralizza, le imprese chiudono e la gente ruba per mangiare. E poi far ripartire l’economia diventa un miraggio, vedi sud Italia.
Allora uno Stato che non è attrezzato ad adattare le leggi al popolo, dovrebbe avere il buon senso di tollerare l’evasione tributaria di un imprenditore che è utile nella sua zona, ma non riesce ad esserlo altrettanto per lo Stato, per colpa dello Stato. Perché in Italia gli evasori “onesti” (che oggi chiamano di necessità) sono gli eroi del terzo millennio, subiscono i rigori di leggi idiote, e burocrazie demenziali, per svolgere in condizioni di estrema difficoltà finanziaria, l’encomiabile compito di mantenere in vita dipendenti e sistema economico, evitando che collassi e non riparta mai più come adesso.
Fra qualche anno, (o mese) per evitare la guerra civile per l’esplosione della disoccupazione, lo Stato dovrà girare casa per casa e pregare in ginocchio gli imprenditori evasori di riaprire le imprese, di assumere lavoratori e di pagare tasse se, quando e quanto riusciranno a pagare.
Con le leggi attuali, e con la feroce lotta all’evasione, il sistema economico italiano è diventato rachitico, perché non si adeguano le tasse alla produttività di ricchezza che cresce nei periodi di sviluppo e crolla nelle recessioni.
Le tasse si impennano quando la produttività crolla e le imprese chiudono, perché il costo della macchina dello Stato è sempre crescente (di sprechi e ruberie) e nessuno si preoccupa di adeguarlo al PIL nazionale. La politica che con leggi idiote impoverisce il sistema economico, la società e lo Stato, non è politica sbagliata, è omicida: dove gli imprenditori vengono condannati al fallimento ed istigati al suicidio con persecuzioni tributarie naziste, non c’è niente che possa sfuggire al default.
Far mancare ad un popolo i soldi che servono per vivere, è come ucciderlo. Quindi nessuna istituzione pubblica dovrebbe arrogarsi il potere di ostacolare o chiudere una impresa, salvo che non sia scientificamente dimostrata la sua pericolosità sociale. Affamare un popolo, ostacolando, distruggendo o rubando ricchezza, dovrebbe essere considerato criminale al pari del genocidio e punito di conseguenza. 
Il diritto alla vita dei singoli e dei popoli non dovrebbe subire prevaricazioni da nessun potere, perché affamare un individuo impedendogli di essere produttivo col suo lavoro onesto, è come istigarlo a delinquere, e in galera dovrebbe andarci per intero la classe dirigente, che ha smesso da un pezzo di difendere i cittadini dallo Stato e difende lo Stato dai cittadini. (Di tutti gli imprenditori che si sono suicidati per persecuzione tributaria, nessun politico o burocrate è finito in galera) E questo è il risultato!!!
Come si possono punire gli illeciti di un imprenditore, (al 99% istigati da leggi balorde e burocrazie acefale) chiudendo l’impresa e gettando sul “rogo della disoccupazione” direbbe Don Milani, centinaia o migliaia di lavoratori? Questi sono crimini da dittatura, non da Stato di diritto. L’impresa ha nel l’imprenditore il responsabile legale, ma a produrre profitti è il servizio bancario e la professionalità dei lavoratori. Quindi l’impresa, che non è nociva per la collettività, non dovrebbe essere chiusa: si dovrebbe spostare la responsabilità legale da l’imprenditore ad un gruppo di lavoratori qualificato a risponderne, o in mancanza alla banca creditrice.

In un sistema socio-economico liberale, qualunque interferenza violenta dello Stato sulla singola impresa, tale da attentarne la produttività e mettere in forse la sopravvivenza dei lavoratori, il dovere fiscale dell’imprenditore, nonché i suoi bisogni e quelli della sua famiglia, è crimine comunista legalizzato.

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