venerdì 2 gennaio 2015

Kant e il dovere della felicità


Kant e il dovere della felicità

In Italia le catastrofi sono dovute a l’eccessivo sbilanciamento fra diritti crescenti e doveri calanti. Ma guai a pensare che sia solo la crescita dei diritti, a generare il collasso dei doveri; c’è qualcosa di molto più complicato che nemmeno Immanuel Kant è riuscito ad infilare nel cervello degli umani con queste inequivocabili parole: “Assicurare la propria felicità è un dovere, diceva Kant; perché il fatto di non essere contenti del proprio stato potrebbe facilmente diventare una grande tentazione di mancare ai propri doveri”.
Ed è proprio questo il rompicapo italiano numero uno. Alla “grande tentazione di mancare ai propri doveri, che poi sono i diritti dei cittadini” ormai non riesce a sottrarsi più nessuno di quelli che bazzicano strapagati nelle stanze dei bottoni. Così l’intero popolo bue, sentendosi derubato di tutti o parte dei propri diritti, che di tasse gli costano un occhio, ritiene doveroso sdebitarsi a sua volta mancando ai propri doveri.
E se non ci credete, provate a chiedere a chi guadagna in un anno da 200 mila euro in su, se si sente giustamente retribuito, e vi risponderà che merita molto di più per ciò che fa e per quanto rende. E magari presiede un ente o una azienda in prefallimento, in paese fallito da un pezzo.
Allora il primo dovere di cui non dovremmo mai renderci inadempienti come suggerisce Kant, è di sentirci felici per ciò che abbiamo, perché chi vive a pane ed acqua e dorme in un cartone, ha mille buone ragioni per essere felicissimo di quel poco che ha, visto che è proprio quello a salvargli la vita.
Quindi noi italiani affondiamo irrimediabilmente nello sfascio, perché a l’elenco chilometrico di diritti che ci siamo accreditati grazie al demenziale e anarchico autogoverno democratico, rispondiamo con un altrettanto sterminato elenco di doveri mancati.
La mafia dei potenti falsi infelici produce e schiavizza infelici veri fino ad ucciderli. E in questo barbaro modo il tessuto sociale si è lentamente sfilacciato e lacerato fino alla guerra civile del tutti contro tutti. Adulti contro bambini; uomini contro donne e viceversa; pensionati contro lavoratori e viceversa; lavoratori contro imprenditori e viceversa; dipendenti pubblici contro utenti e contribuenti e viceversa; fornitori contro clienti e viceversa; italiani contro immigrati e viceversa; comunisti contro fascisti e viceversa; onesti contro disonesti e viceversa; atei contro cattolici e viceversa; giudici contro delinquenti, corrotti, mafiosi, politici e viceversa. E via elencando a l’infinito.
Ormai nessun italiano può dirsi esente di nemici da odiare. Ma ai falsi infelici, a quelli che scoppiano di salute finanziaria e continuano a rubare e depredare il prossimo anche dormendo, basterebbe poco per capire a quale livello di imbecillità mista a pazzia sono sprofondati.
Se i poveri, i barboni e i malati, che di buone ragioni per essere infelici ne hanno a vagonate, grazie a chi li priva anche del diritto essenziale alla vita, si fossero impegnati a ripagare i loro nemici con la stessa moneta dell’omicidio, della razza umana non ci sarebbe stata più traccia da svariati millenni.
Allora, gli infelici per ingordigia compulsiva, i falsi filantropi che danno palesemente con una mano, ma prendono occultamente con una collezione di pale meccaniche ruba soldi, si diano una calmata, nello “sport mondiale del fotti compagno”, perché il mondo sta correndo sparato verso l’autodistruzione, e ancora non si sa bene chi possa invertire la rotta.

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