Quando la politica un senso
non ce l’ha
Uno Stato comunista che rinuncia al monopolio della
produttività di ricchezza, e si converte al liberismo, non dovrebbe avere
potere legale di ostacolare la produttività privata o chiudere imprese; perché
il valore di una impresa non dipende dal solo imprenditore, ma anche dalle
banche che l’hanno finanziata, dagli operai che l’hanno resa produttiva, ma
soprattutto dalla burocrazia e professioni che rendono o no il sistema
economico competitivo e produttivo.
E poi con quale logica si punisce un imprenditore
per i suoi illeciti, scaricando il danno su diecine, centinaia o migliaia di
dipendenti che finiscono alla fame o manovalanza del crimine? Le imprese fuorilegge
dovrebbero essere commissariate non chiuse.
Anche perché ostacolare o impedire la produttività
delle imprese e dei lavoratori, è come lavorare alla distruzione del popolo e dello
Stato: è roba da crimine contro l’Umanità, posto che senza soldi si muore.
Le leggi, così come concepite in Italia, sono quanto
di più idiota ha pensato l’uomo, perché con esse il legislatore presume che ciò
che lui ha pensato nel momento di legiferare, sia realizzabile dal popolo, alla
lettera e senza variazioni, pure se la realtà oggettiva è stata sconvolta da
una quantità spaventosa di variabili che hanno modificato popolo, territorio e
sovranità.
Già, una volta, in condizioni normali, fra il dire e
il fare di mezzo c’era il mare. Oggi, fra un progetto politico e la sua realizzazione
c’è almeno l’oceano in tempesta, a giudicare non solo dall’alta mortalità delle
imprese, ma dalle migliaia di opere pubbliche, curate da burocrazia e politica,
rimaste incompiute, alla vigilia del collaudo o affidate ai guastatori liberi
di demolirle o depredarle.
Quindi ci vorrebbe molta elasticità nelle
imposizioni legislative, oppure si dovrebbe riconoscere al potere giudiziario
un margine di discrezionalità nel distinguere le violazioni colpose, dolose o
inevitabili quanto una legittima difesa.
Un sistema sociale innovativo e funzionante dovrebbe
essere organizzato come una industria automobilistica: che alla progettazione,
realizzazione e commercio delle auto, affianca dei centri di manutenzione e
riparazione, dove l’opera dei meccanici è ancora più determinante di quella del
progettista, perché sono chiamati ad assicurare la reale funzionalità del
mezzo, sanando anche eventuali errori di progettazione.
Mentre, gli o-rrori del legislatore, non hanno sul
territorio le officine e i meccanici che riparino guasti, avvitino bulloni,
cambino pezzi, per evitare che il sistema socio economico finisca paralizzato
da leggi che nessuno ha il potere di modificare, né cancellare. (Un esempio
allucinante il Porcellum) Le leggi hanno il merito di rendere in teoria tutti i
cittadini uguali. Ma siccome di fatto non si nasce e non si diventa mai uguali,
allora i tribunali dovrebbero essere le officine meccaniche della legge, o per
riparare quelle guaste, o per assicurare impunità a chi, in condizioni estreme
di pericolo o di bisogno ha dovuto violarle.
Un sistema sociale vincolato ad un sistema
legislativo poco elastico e censurato da una magistratura senza discrezionalità
“legale”, è condannato a l’autodistruzione, perché solo il Padreterno è in
grado di far seguire ad un progetto, una fedele realizzazione, anche in
condizioni socio, politico, economiche, culturali e ambientali, tanto diversificate,
da rendere impossibile la posa della prima pietra, o il completamento dell’opera.
Allora ci vorrebbe un potere centrale meno
presuntuoso, che non arrivi a pensare che l’evasione delle tasse, nei momenti
di drammatica recessione, vada perseguita fino a buttare per strada gli operai
e istigare al suicidio l’imprenditore.
Il vero danno non lo crea chi sottrae denari allo
Stato per mantenere operai, che licenziati e posti a carico dello Stato
costerebbero mille volte di più alla collettività.
Il vero crimine lo commette la politica con leggi
che obbligano gli imprenditori a fare profitti in Italia ed esportarli, oppure
a creare una florida azienda in Italia sfruttando le capacità degli operai, e
poi buttarli a mare e delocalizzarla, perché la politica è tanto idiota da non
adeguare il costo dello Stato alle variazioni della produttività, anzi, più
cala la competitività e la produttività, più lo Stato tassa le imprese per
farle chiudere, fallire o scappare.
Quindi, ciò che manca nei sistemi sociali non sono i
legislatori, i progettisti di leggi intelligenti, che per quanto possano esserlo non ci daranno mai
leggi perfette. Ma i meccanici giudiziari che le adattino ai bisogni e
aspettative del popolo.
Se in una zona povera si impongono le stesse tasse
di una ricca, la povera si paralizza, le imprese chiudono e la gente ruba per
mangiare. E poi far ripartire l’economia diventa un miraggio, vedi sud Italia.
Allora uno Stato che non è attrezzato ad adattare le
leggi al popolo, dovrebbe avere il buon senso di tollerare l’evasione
tributaria di un imprenditore che è utile nella sua zona, ma non riesce ad
esserlo altrettanto per lo Stato, per colpa dello Stato. Perché in Italia gli
evasori “onesti” (che oggi chiamano di necessità) sono gli eroi del terzo
millennio, subiscono i rigori di leggi idiote, e burocrazie demenziali, per
svolgere in condizioni di estrema difficoltà finanziaria, l’encomiabile compito
di mantenere in vita dipendenti e sistema economico, evitando che collassi e non
riparta mai più come adesso.
Fra qualche anno, (o mese) per evitare la guerra
civile per l’esplosione della disoccupazione, lo Stato dovrà girare casa per
casa e pregare in ginocchio gli imprenditori evasori di riaprire le imprese, di
assumere lavoratori e di pagare tasse se, quando e quanto riusciranno a
pagare.
Con le leggi attuali, e con la feroce lotta
all’evasione, il sistema economico italiano è diventato rachitico, perché non si adeguano le tasse alla produttività di ricchezza che cresce nei periodi di
sviluppo e crolla nelle recessioni.
Le tasse si impennano quando la produttività crolla
e le imprese chiudono, perché il costo della macchina dello Stato è sempre
crescente (di sprechi e ruberie) e nessuno si preoccupa di adeguarlo al PIL nazionale. La politica che
con leggi idiote impoverisce il sistema economico, la società e lo Stato, non è
politica sbagliata, è omicida: dove gli imprenditori vengono condannati al
fallimento ed istigati al suicidio con persecuzioni tributarie naziste, non c’è
niente che possa sfuggire al default.
Far mancare ad un popolo i soldi che servono per
vivere, è come ucciderlo. Quindi nessuna istituzione pubblica dovrebbe
arrogarsi il potere di ostacolare o chiudere una impresa, salvo che non sia
scientificamente dimostrata la sua pericolosità sociale. Affamare un popolo,
ostacolando, distruggendo o rubando ricchezza, dovrebbe essere considerato
criminale al pari del genocidio e punito di conseguenza.
Il diritto alla vita
dei singoli e dei popoli non dovrebbe subire prevaricazioni da nessun potere,
perché affamare un individuo impedendogli di essere produttivo col suo lavoro
onesto, è come istigarlo a delinquere, e in galera dovrebbe andarci per intero la classe
dirigente, che ha smesso da un pezzo di difendere i
cittadini dallo Stato e difende lo Stato dai cittadini. (Di tutti gli
imprenditori che si sono suicidati per persecuzione tributaria, nessun politico
o burocrate è finito in galera) E questo è il risultato!!!
Come si possono punire gli illeciti di un imprenditore,
(al 99% istigati da leggi balorde e burocrazie acefale) chiudendo l’impresa e gettando
sul “rogo della disoccupazione” direbbe Don Milani, centinaia o migliaia di
lavoratori? Questi sono crimini da dittatura, non da Stato di diritto.
L’impresa ha nel l’imprenditore il responsabile legale, ma a produrre profitti è
il servizio bancario e la professionalità dei lavoratori. Quindi
l’impresa, che non è nociva per la collettività, non dovrebbe essere chiusa: si
dovrebbe spostare la responsabilità legale da l’imprenditore ad un gruppo di
lavoratori qualificato a risponderne, o in mancanza alla banca creditrice.
In un sistema socio-economico liberale, qualunque
interferenza violenta dello Stato sulla singola impresa, tale da attentarne la
produttività e mettere in forse la sopravvivenza dei lavoratori, il dovere
fiscale dell’imprenditore, nonché i suoi bisogni e quelli della sua famiglia, è
crimine comunista legalizzato.
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