giovedì 30 novembre 2017

Sono gli uomini che qualificano i mezzi.

Abbiamo il pessimo vizio di qualificare i mezzi buoni o cattivi come fossero uomini. Il miglior coltello del mondo è tale in mano al macellaio, ma diventa arma del delitto in mano ad un assassino. Per 25 secoli, in occidente ci siamo dissetati tutti alla stessa sorgente filosofica, teologica e giuridica. Ma ne sono scaturiti secoli luminosi e secoli bui , perchè gli uomini sono liberi di modificare la destinazione d'uso di mezzi  grandiosi come la cultura, il diritto, la democrazia, la giustizia o la religione.
Allora smettiamola di scimunire difendendo una ideologia e combattendo un altra. L'unico vero problema de l'umanità sono gli uomini. Questi e solo questi hanno il potere, usando qualunque mezzo disponibile, di nutrire o affamare, difendere una vita o toglierla. E della selezione di chi mandiamo al potere che dovremmo preoccuparci seriamente. Il resto è aria fritta.

martedì 21 novembre 2017

Gli italiani vogliono il pesce o la canna per pescarselo?


Temo che a sfasciare l'Italia abbia contribuito in massa l'intera classe dirigente. E luce in fondo al tunnel per ora non si vede.
A dare il via, ci ha pensato la cultura e la politica comunista formando gli italiani come popolo dipendente a fortissima vocazione sindacale, da immettere nel libero mercato prima e globalizzato poi, e quindi come un macigno al collo dei piccoli imprenditori, o come una palla al piede di multinazionali e banche. 
E a questa mostruosa pedagogia genocida, che ha formato e forma milioni di laureati condannati alla disoccupazione, sfruttamento o emigrazione (ma manco uno con la vocazione di offrire lavoro da imprenditore invece di cercarlo a vita da dipendente) l'economia finta liberale non ha opposto resistenza, perché così estingueva gradatamente la razza dei piccoli padroncini e concentrava il potere economico nelle mani di multinazionali mordi e fuggi e banchieri rapaci, fino a renderli tanto potenti da costringere o convincere l'intera classe politica comunista idiota e liberale irresponsabile, a colpi di corruzione e valige milionarie, a finanziare o salvare la grande economia e mandare a picco popolo e Stato.
Fu così che la nostra smidollata classe politica, consegnò la florida economia italiana (che era costituita da piccoli agricoltori, artigiani e commercianti) alle multinazionali mordi e fuggi, che restano in Italia finché possono mangiarsela viva e morta; e come ciliegina sulla torta avvelenata, consegnò la sovranità monetaria del popolo italiano alla BCE e alle banche nazionali, col diritto insindacabile di scegliere se scommettere su l'economia privata finanziando le imprese, o buttare a mare i piccoli imprenditori negandoli i finanziamenti e comprando debito pubblico a strozzo, a rischio default.
Ora che il lavoro è stato completato a regola d'arte, i piccoli imprenditori perseguitati da burocrazia e fisco hanno tirato le cuoia, le multinazionali ricche mod. Fiat si son date alla fuga, le banche succhiano soldi dallo Stato, o bidonano risparmiatori, le imprese dell'occidente sono offerte a saldi di fine stagione alle ricchissime imprese d'oriente, non c'è più niente da demolire, ci sono solo montagne di macerie economico finanziare da rimuovere come dopo il passaggio di un terremoto, un uragano, uno tsunami.
Ci servirebbe quel popolo autonomo che eravamo, che al pesce servito a tavola, preferiva la canna da pesca per procurarselo la sé. Ma alla prima sostituzione di popolo, si sono dedicati anima e corpo, professori, giornalisti, sindacalisti, politici e giudici, con la giusta pedagogia e giurisprudenza per convertire in dipendente un popolo con spiccata vocazione autonoma, perciò capace di uscire indenne o quasi dalle dittature criminali o dalle democrazie demenziali.
E la seconda sostituzione di popolo è in atto, da che hanno aperto l'Italia a l'invasione multietnica a 360 gradi, e non oso immaginare quale devastante intruglio socio politico economico possa conseguire. 

lunedì 20 novembre 2017

Se le parole non partoriscono fatti.


Con le parole si aiutano i popoli a vivere, ma solo se si riesce a riempirgli le menti prima e gli stomaci poi. Altrimenti si spreca il loro tempo, denaro e potere, per condannarli a morire di lenta e inesorabile guerra fra poveri. Perciò sarebbe igienico domandarsi: ma di cultura ancora si mangia?
In fatto di cultura io non sono certo un addetto ai lavori, ma avendo il sospetto che le parole che seguono abbiano una grande (e magari pure immensa) capacità formativa, domando a voi che ne sapete più di me, ma hanno anche capacità produttiva, posto che la produttività di ricchezza, persino degli occidentali super civili, democratici e produttivi, da decenni ormai è in caduta libera?
E la guerra fra poveri è così cruenta, che sulla legalità (e lungi a parlare di moralità) dei poteri e dei potenti culturali, politici ed economici, temo non ci resti che stendere un velo pietoso.

Le parole che seguono, sono una piccola parte di recensione di un libro di poesie, trovata per caso su internet, che ci pongono questa domanda da miliardi di dollari: ma di cultura ancora mangiano tutti o solo gli addetti?

"Egloghe raffinate, spesso superbe nell'enfatizzazione stilistica che esalta eleganza espressiva e assoluta padronanza del verbo, in una forma linguistica di grande effetto; un quadro descrittivo che tutto contiene e che attraverso la parola, qui sciolta dai vincoli compressivi, ben definisce lo stilema lirico, e assume, ne l’inciso, la sua cifra, la sua libera forma, accoglie ed alterna emozioni e pensieri, tutti ben distribuiti dall'istinto poetico che arriva nelle oscure profondità dell'anima, e da esse rinascenti e riaffioranti il loro rituale svolgimento, scandisce il suo fine nel lume della nostra memoria, dove interna al divenire, è atta, nella sua mutevolezza, ogni introspezione, rappresentazione e sconfinata apertura della mente:
una silloge dove chi scrive e chi legge è chiamato a sentire e seguire un’interconnessione di suoni e di segni che prova a scardinare il senso classico dell’espressione poetica, così come lo intendiamo, e dove i luoghi di parola si mescolano a un recesso di vita, a un non dato o non detto che non si ritraggono, ma si intrecciano alla nostra storia nella quale rinnovare, vicino alla dimenticanza, sentimenti e sensazioni, come una promessa fatta contro l’irrigidimento di se stessi e il suo superamento".

domenica 19 novembre 2017

La democrazia in buona salute chi l'ha vista?

Possono dirsi democratici i sistemi sociali che hanno la destra politica senza potere di governo, capace solo di produrre fiumi di ricchezza disonesta, legittimando multinazionali d'assalto e finanza strozzina; e la sinistra straripante di consensi, incollata al governo, ma incapace di produrre una quattro soldi bucata di valore aggiunto che non derivi da rapina tributaria, corruzioni, sperperi, e appropriazioni legalizzate e non, fino a ridurre i popoli alla fame e alla disperazione? Certamente no. 
Un popolo che in democrazia ha potere di autogoverno, finisce per affidarlo ai partiti che promettono a l'ingrosso. E poiché lavoratori e pensionati sono una schiacciante maggioranza, finiscono per estorcere alla politica (con l'arma del voto) il diritto di lavorare e produrre sempre meno, e incassare e spendere sempre più. Come dire: più salari per noi e meno profitti per i poveri sventurati della PMI.
A questa demenziale e suicida pretesa del popolo di sfasciare economicamente lo Stato, di debito pubblico, tutta la politica finisce per rassegnarsi ed adeguarsi.
La sinistra comunista (tassa e spendi) non ci pensa due volte, tanto rapina di tasse la classe sociale dei piccoli padroni che riduce al fallimento e fa passare tutto ciò come salvataggio dei lavoratori e del sistema che si impegna a distruggere.
E la destra "liberale", che ha bisogno di lavoratori produttivi ormai inesistenti, finge di combattere la politica comunista dei diritti senza doveri, ma di fatto la imita e la emula per assicurare agli imprenditori (corrompi e ingrassa o mordi e fuggi) almeno un popolo di consumatori spendaccioni smidollati che facciano girare il denaro come profitti alle imprese e tasse allo Stato quanto basta per non mandarlo in default.
Ma un sistema economico artificialmente, anzi fintamente produttivo finisce per spaccare il popolo in poveri crescenti, ricchi calanti, e una classe media condannata a vivere di arricchimento oggi e impoverimento domani, quando le finte vacche grasse finiscono nel mattatoio dei tecnici Monti e Fornero per salvare lo Stato, indebitato dalle scelte di un popolo ubriaco fradicio di diritti fantasma, promessi sempre e mantenuti mai, dalla politica ladra al servizio della finanza nazionale e mondiale.

venerdì 17 novembre 2017

Le parole che non salvano, che fanno?


Ma di cultura ancora si mangia?
Con le parole si aiutano i popoli a vivere, ma solo se si riesce a riempirgli le menti prima e gli stomaci poi. Altrimenti si spreca il loro tempo, denaro e potere, per condannarli a morire di lenta e inesorabile guerra fra poveri.
In fatto di cultura io non sono certo un addetto ai lavori, ma avendo il sospetto che le parole che seguono abbiano una grande (e magari pure immensa) capacità formativa, domando a voi che ne sapete più di me, ma hanno anche capacità produttiva, posto che la produttività di ricchezza, persino degli occidentali super civili, democratici e produttivi, da decenni ormai è in caduta libera?
E la guerra fra poveri è così cruenta, che sulla legalità (e lungi a parlare di moralità) dei poteri e dei potenti culturali, politici ed economici, temo non ci resti che stendere un velo pietoso.

Le parole che seguono, sono una piccola parte di recensione di un libro di poesie, trovata per caso su internet, che ci pongono questa domanda da miliardi di dollari: ma di cultura ancora mangiano tutti o solo gli addetti?

"Egloghe raffinate, spesso superbe nell'enfatizzazione stilistica che esalta eleganza espressiva e assoluta padronanza del verbo, in una forma linguistica di grande effetto; un quadro descrittivo che tutto contiene e che attraverso la parola, qui sciolta dai vincoli compressivi, ben definisce lo stilema lirico, e assume, ne l’inciso, la sua cifra, la sua libera forma, accoglie ed alterna emozioni e pensieri, tutti ben distribuiti dall'istinto poetico che arriva nelle oscure profondità dell'anima, e da esse rinascenti e riaffioranti il loro rituale svolgimento, scandisce il suo fine nel lume della nostra memoria, dove interna al divenire, è atta, nella sua mutevolezza, ogni introspezione, rappresentazione e sconfinata apertura della mente:
una silloge dove chi scrive e chi legge è chiamato a sentire e seguire un’interconnessione di suoni e di segni che prova a scardinare il senso classico dell’espressione poetica, così come lo intendiamo, e dove i luoghi di parola si mescolano a un recesso di vita, a un non dato o non detto che non si ritraggono, ma si intrecciano alla nostra storia nella quale rinnovare, vicino alla dimenticanza, sentimenti e sensazioni, come una promessa fatta contro l’irrigidimento di se stessi e il suo superamento".

lunedì 13 novembre 2017

Gabbia per gatti, leoni e matti


Temo che il mondo sia ormai più organizzato a speculare sulle parole che a trarre profitto dai fatti. Quindi non esistono più le parole asettiche: o fanno utile, o non possono che fare danno, posto che impegnano miliardi di persone in discorsi che aggrovigliano i problemi anziché dipanarli.
Come le parole ricchi e poveri su cui si specula da millenni senza capire che razza di politica serve per assicurare pacifica e produttiva convivenza, fra: padroni e lavoratori; istruiti e ignoranti; geni e stupidi; potenti e impotenti, sazi e affamati; forti e deboli; sani e malati.
Anzi la cultura e la politica, pur sapendo che ricchi e poveri sono due razze interdipendenti, lavorano per impedire a l'Umanità di capire come si possa arrivare a l'armistizio fra lavoratori che cercano pane, e padroni che vorrebbero profitto onesto, ma sono istigati da un sistema criminale a sfruttare lavoratori, truffare clienti, bidonare banchieri, corrompere burocrati, politici ed esattori, e accumulare da cannibali il massimo arricchimento.
Un secolo fa, il signor Marx si permise di progettare come soluzione politico economica lo sterminio giuridico dei singoli padroni con l’abolizione della proprietà privata, in modo da elevare lo Stato a padrone e datore di lavoro unico.
E dopo tre quarti di secolo, il bellissimo castello di sabbia costruito sulla sabbia, è stato spazzato via dallo tsunami liberista, a conferma che nessun popolo è in grado di produrre ricchezza pubblica senza padroni privati.
Allora la filosofia politica dovrebbe porsi il problema, (ma è ancora alle aste, agli uncini e non conosce manco le tabelline), su come tenere insieme nella gabbia planetaria, i padroni del lavoro, e i padroni del capitale: come dire i gatti e i leoni senza farli ammattire.
Posto che dalle caverne ad oggi, il mondo della cultura e della politica è riuscito egregiamente ad affamare e uccidere lavoratori, ma la razza dei padroni e la loro smania accumulatrice non l’ha mai insidiata nessuno.
Persino nei Paesi comunisti, i padroni spariti d’incanto per tre quarti di secolo, sono spuntati dal nulla come funghi nel bosco, alle prime piogge liberiste. I modi per affamare e uccidere lavoratori si sprecano, ma i padroni c’erano già nelle caverne; e non c'è cultura al mondo che possa convertire un padrone in lavoratore.
Anche se a pensarci bene, essendo entrambi interdipendenti, quindi dipendenti uno da l’altro, definire autonomo l’imprenditore è una bestialità giuridica millenaria, (come chiamare maratoneta uno senza gambe) posto che la sua mobilità economica è dovuta solo a l'impiego di lavoratori dipendenti con la funzione di stampelle.
Allora va stabilito una buona volta per tutte, che il rapporto conflittuale gatti prede e leoni predatori, si raffredda in un solo modo. Sfamando finanziariamente i leoni per primi e i gatti per secondi. Invece ai leoni umani, a colpi di sindacalismo e fisco comunista e finanza nazista, si è riservato il trattamento opposto e con risultati che più devastanti non si può.
Tutte le garanzie per i lavoratori conquistate in un secolo di sindacalismo idiota, hanno ridotto al fallimento o istigato al suicidio milioni di piccoli imprenditori, di leoncini lattanti, ma i leoni adulti del mercato globale, i padroni delle multinazionali: banche, petrolio, materie prime, sanità, cultura, trasporti, comunicazione e guerra, sono diventati feroci tiranni, liberi di salvare o uccidere popoli e Stati a loro insindacabile giudizio.
Garantire ai lavoratori, legale diritto alla vita con salario o pensione, è ineccepibile, (e chi potrebbe mai contestarlo?) ma è economicamente più devastante del peggior comunismo russo e cinese assommati. Vedi Italia e vedi UE. Perché prescindendo dalla competitività e produttività di ricchezza complessiva, attenta persino alla sopravvivenza dei grandi industriali e banchieri, fino a renderli feroci per non soccombere.
Quindi, per evitare che i padroni sviluppino una fame di arricchimento innaturale, patologica, va messa a dieta la classe dirigente pubblica di ingordi, irresponsabili e ladri; e ai leoni del mercato, va garantito un livello di ricchezza proporzionale al numero dei lavoratori che assumono e pagano, per non istigarli a licenziare anziché assumere, come va di moda oggi. Perché poi rifinanziarli o esentarli dalle imposte per indurli a riassumere è demenziale.
A giudicare dalla feroce bestialità delle poche decine di paperoni mondiali pigliatutto, padroni della pace e della guerra, verrebbe spontaneo pensare che oggi gli umani hanno urgente bisogno del dott. Marx e di una sua flebo gigante di comunismo, per curare il liberismo che sta avvelenando rapporti umani, devastando famiglie, impoverendo popoli e indebitando Stati.
Invece è il comunismo la vera malattia, di cui s’è fatto uso e abuso come fosse medicina miracolosa.
L'unico modo per proteggere la vita dei lavoratori è rendere umani i padroni come sono stati per millenni, perché istigare i gatti ad odiare e combattere i leoni come unici veri nemici de l'umanità è cultura e politica da ospedale psichiatrico.
Quando il sindacalismo comunista non esisteva, i padroni non hanno mica estinto la razza dei lavoratori, mangiandoseli per millenni e millenni. Oggi grazie alla protezione sindacale li lasciano disoccupati, li sfruttano, li avvelenano, li uccidono con lavori rischiosi o li deportano da bestie nei paesi ricchi. Questo è tutto, il resto è aria fritta.
Affamare un lavoratore che cerca pane onesto per la sua famiglia è un crimine che grida vendetta. Ma avete mai provato ad immaginare che razza di rabbia esplosiva può covare un imprenditore onesto che si è ipotecata la proprietà, la famiglia e la vita, per fare profitti onesti, assumendo e pagando lavoratori, producendo beni e servizi che il mercato richiede e apprezza, ma per i moderni “Stati di diritto caricatura”, è un fuorilegge da dichiarare fallito e istigare al suicidio, se non si è rassegnato ad affamare i lavoratori e la propria famiglia, per foraggiare o corrompere una classe dirigente insaziabile e irresponsabile di burocrati, esattori, politici e giudici che non è igienico definire criminali, ma definirli matti è persino riduttivo.


mercoledì 8 novembre 2017

La guerra comunismo liberismo