giovedì 14 giugno 2012

Pistoleri e politici


Pistoleri e politici
Per capire in Italia il rapporto schizoide popolo-politica, dobbiamo immaginarci i "poveri" italiani tassati e tartassati, come un pistolero seduto nella barberia di Palazzo Chigi, dove la degnissima persona del Premier è armato del rasoio dell’imposizione tributaria, con cui potrebbe sgozzarlo in una frazione di secondo, mentre ha il suo collo a portata di lama.
E pure i popoli devono aspettare per secoli gli Hitler o i Mussolini per vedersi accoppati dal loro figaro di fiducia. La ragione è che il popolo-pistolero accomodato sulla sedia del barbiere, tiene la pistola (del consenso-dissenso) incollata agli zebedei di chi governa, e tanto basta a spostare il potere reale dai governanti ai governati.
Se adesso andate a domandare al nostro super Mario perchè è così impegnato a tassare invece di tagliare, vi dirà che i tagli sono impossibili, difficili, richiedono studi speciali e tempi biblici. Di fatto è la pressione di quella pistola muta a convincerlo senza sprechi di parole, che la maggioranza degli italiani ha con lo Stato un rapporto costante di dare poco e arraffare molto, e non è tanto fessa a preferire i tagli che colpirebbero lei, alle tasse che fottono solo quella minoranza di italiani onesti e quindi monchi, che vivono per pagare con una mano e poi morire.
Perciò in 66 anni non ci ha spiegato mai nessuno che accidenti di forma avessero questi poteri forti italiani che condizionano i Premier. E io da qualche tempo ho iniziato a sospettare che abbiano la forma di revolver a canna lunga o fucile a canne mozze, premuto sui fragili attributi del povero figaro, che così malmesso è l’unico presidente "eretto" d’Italia perennemente in posizione pecorina.
E non c’è giurista al mondo in grado di raddrizzarlo, perché sia libero di tagliare spesa pubblica, sprechi e ruberie invece di scorticare vivi di tasse gli imprenditori e tutti gli italiani onesti.
I tagli non sono graditi dalla maggioranza che ha rapporti di dare-avere con lo Stato, e preferisce dare con una mano e prendere minimo con due; così quel poveraccio di Monti non ha scampo, tassa, tassa, tassa, tassa, tassa, tassa, finché l’Italia non gli collassa.
Ora avete capito perché è stato Silvio Berlusconi il figaro più ridicolizzato o odiato dagli italiani e dal mondo? Perchè è stato l’unico Premier tanto fesso a non capire che sindacalisti, burocrati e banchieri (e persino alleati giuda) bazzicavano a Palazzo Chigi, (o gli riempivano la casa di escort armate fino ai denti) per impedirgli di passare il rasoio sulla loro spesa pubblica, e obbligarlo a lievitare quelle benedette tasse, se proprio ci teneva a riportarsi a casa (come dice mio nipote) i gioielli di famiglia. 
Ma lui, fissato a sbarbare la spesa pubblica per non toccare le tasse, ha rischiato di finire castrato da un harem di alleati e escort finti quanto cavalli di Troia.

lunedì 11 giugno 2012

Illusionismi politici


ILLUSIONISMI POLITICI

Nelle condizioni in cui è ridotta l’Italia e l'intero Occidente temo che ormai la politica sia mestiere da illusionista, da Silvan o da Silvio venditore di sogni capace di indurre grandi masse di individui a fidarsi prima della cultura e poi del mercato, che è come proporgli di acquistare un biglietto di prima classe per il viaggio di inaugurazione del Titanic, con tutte le conseguenze del caso.
E più i Titanic affondano, più i politici si arrovellano come far sognare alla gente un futuro migliore del presente. E in Italia gridano, “correte, dopo i grilli parlanti, abbiamo primarie a profusione”. E i più, dopo aver scommesso spesso inutilmente su una laurea o una impresa, passano alla politica per pagare l'arrosto agli illusionisti, e l'osso spolpato agli illusi.
In realtà, quando la scuola ha sfornato i suoi diplomati e laureati che il mercato non assorbe per problemi di quantità, o qualità, non ci sono correttivi economici o politici che possano sanare lo sfascio conseguente.
Ma a prescindere dalla qualità della formazione, anche solo agli errori quantitativi della scuola non c’è riparo, perché ancora nessuno ha capito che l’offerta di istruzione deve adeguarsi e modellarsi alla domanda di lavoro che viene dal mercato, per non creare in eterno esuberi di forza lavoro condannati alla disoccupazione o fuga di cervelli, o inflazione di aspiranti professori, giornalisti o politici a caccia di cattedre e scrivanie inesistenti o parassitarie.
Perché un laureato che finisce per dover affettare mortadelle in un supermercato (e in Italia è già sfacciatamente fortunato così) non è certo un affarone per sé e per la collettività che s’è dissanguata per finanziare la scuola. E per avere una idea di quanto vale oggi la cultura in Italia; pensate che mezzo secolo fa il più scalcinato dei contadini guadagnava abbastanza per laureare, sistemare e sposare anche cinque-dieci figli, garantendo casa e futuro a tutti. Oggi pure i figli unici laureati devono rassegnarsi a rimanere con i genitori, perché il mercato, se pure accetta la qualità della formazione italiana, ormai rifiuta da almeno tre decenni la quantità di istruiti prodotti dalla scuola italiana.
In altre parole, la cultura che non è "fresca di giornata", cioè modellata e adeguata ai bisogni attuali del mercato del lavoro, è cultura improduttiva, quindi in-cultura: che differisce dalla produttiva, quanto le cambiali dalle banconote.
L’idea che la cultura sia sempre alle quattro stagioni, utile in ogni tempo, luogo e condizione giuridico economica è una grossa panzana: utile a garantire continuità di stipendi ai docenti e  precarietà e fame ai discenti.
Quindi in Italia il mercato si ritrova a pagare una quantità mostruosa di costi di formazione che non producono risorse umane spendibili in Italia in maniera produttiva e contributiva: solo assistenzialismo a perditempo, girovaghi e in politica mangiapane a tradimento: insomma default garantito.
Le imprese agricole pagano la scuola perché produca contadini, le  edili finanziano per avere muratori, le metalmeccaniche chiedono fabbri e meccanici. Ma se la scuola produce solo filosofi, economisti, linguisti, avvocati, comunicatori e ciarlatani, tutto quello che ha speso il mercato per finanziare la scuola è buttato nel cesso: anche se la scuola sforna geni di primissima qualità, Einstein al cubo, ma che cercano occupazione per sé invece di crearla per gli altri. Magari cambieranno fra 500 anni il futuro dell'umanità come Leonardo o Galilei, ma di questo passo non è certo che i popoli ci arrivino.
Tant'è che il nostro super Mario si spompa ad offrire imprese al costo di un lecca lecca, (1 euro), ma i laureati italiani preferiscono darsi all'ippica, per non finire macellati due volte: dal mercato come imprenditori e dal fisco come contribuenti.
E la politica, non trovando i soldi per rifinanziare le imprese danneggiate dai disservizi pubblici di tutte le razze, (e ora pure dal terremoto) e saziare la fame di risorse umane utili al mercato, apre le frontiere, attira gli immigrati ed è uno sfascio peggiore. Oppure aumenta il costo del lavoro e anche i geni finiscono a spasso, perché le imprese che non falliscono delocalizzano.
Perciò smettiamo di rincorrere miraggi, perché ai sogni quantitativi della scuola e del sindacato fanno puntualmente seguito gli incubi del mercato che ormai in Italia rischiano di sconfinare in default. Qua c’è troppa gente col potere di creare vistosi strappi nel mondo traballante delle imprese, che poi la politica ricuce a colpi di toppe tributarie e finanziarie trasformando i buchi in voragini incolmabili.
E’ chiaro che il lavoro di progettazione culturale del popolo affidato alla scuola è da SETTE FATICHE DI ERCOLE, è l’antipasto qualificante o meno del pranzo politico che ne segue. Quindi i professori sono sempre e comunque da ringraziare e magari pure in ginocchio. Ma proprio per questa ragione, chi immagina la politica come una forma di contabilità superiore, con paccate di miliardi  travasate di qua e di là, di politica ha capito poco. Cambi mestiere!!!
La politica vera, è qualificazione culturale e morale di tutti i cittadini, e soprattutto delle risorse umane necessarie a produrre i servizi pubblici che rendono produttivo di profitti il mercato. Senza i quali non c’è Stato di diritto che non retroceda in repubblica delle banane, per sovraccarico di "prof. e  dott." impegnati a tutti i livelli a fingere di rifare per l'ennesima volta l'Italia, senza aver mai consentito a scuola e stampa di fare gli italiani una buona volta per tutte.