Produrre o perequare: questo è il problema politico.
Posto che nessun genio riuscirà mai ad
inventare una politica definitiva e risolutiva di tutti i problemi, senza
rischi o danni per i singoli, i popoli o gli Stati; è chiaro che la migliore
classe politica non è quella che difende la bontà del sistema o pretende di
perfezionarlo all'infinito, ma quella che si affretta come il gommista a
riparare subito le forature per far ripartire la macchina.
E qua i problemi si fanno seri, perché a
fingersi con le gomme bucate, sono sempre i ricchi, che invece andrebbero
tassati con moderazione per soccorrere i poveri, per riparare le vere forature
di chi, per un deficit culturale, finanziario, fisico o intellettivo, non ha
potuto produrre ricchezza o ne ha subito un danno, e se abbandonato a sé
stesso, o peggio perseguitato da fuorilegge, rischia di diventare un pericolo
per sé o per l’intera collettività.
Ma in Italia la politica fallisce
puntualmente l’obbiettivo da 65 anni, e persino il “messia” prof. Monti, più
qualificato del presidente degli Stati Uniti, che avrebbe dovuto risolvere
tutti i problemi italiani con la bacchetta magica, ha finito di impoverire
anche la classe media che è il polmone finanziario di ogni democrazia che si
rispetti. E la ragione la sanno bene gli economisti, secondo i quali “l’economia va tanto
meglio, quanto meno i politici ci mettono le mani”.
In realtà, il politico liberale che va in
soccorso agli imprenditori o ai banchieri per aiutarli a produrre ricchezza, è
meno qualificato di un contadino che corre in soccorso di un chirurgo in sala
operatoria porgendogli la zappa come fosse bisturi. Se poi si tratta di un
politico comunista che si spaccia per liberale, ma è un genio ne l’accoppare
imprenditori, il danno non è scientificamente quantificabile.
In altri termini, la politica, per mettere
le mani sui soldi e infarinarsi come mugnaia, finisce per occuparsi di
produttività e trascura la perequazione, la GIUSTIZIA sociale, e il risultato
italiano è già eloquente da sé.
Da questo e solo da questo deriva lo
sfascio, la mortalità delle imprese e l’esplosione della povertà. Le
multinazionali non accettano a farsi insegnare il mestiere d’imprenditore dai
politici e nemmeno dagli economisti, che magari nella loro vita non hanno
prodotto personalmente una quattro soldi bucata, e delocalizzano (vedi Fiat). E
i piccoli imprenditori si rassegnano ad evadere, a chiudere, a fallire, a
suicidarsi, in attesa che sia il sistema a collassare.
Insomma, diciamola chiara chiara, la
politica che finge di sostenere la produttività di ricchezza, si impegna a risolvere
il problema inesistente del fare soldi, di cui i ricchi sono maestri, ma lascia
incancrenire il problema millenario della povertà, in attesa della guerra
civile.
A questo punto voi mi direte, ma allora
neghi che nel mondo ci sono i periodi di recessione che interrompono lo
sviluppo e necessitano del sostegno politico? Certo, lo nego e lo rinego. Non
ho prove scientifiche inconfutabili, (sarei il padreterno!) ma ho il sospetto
che le recessioni siano finte, pilotate per far fallire le imprese e arricchire
le banche. (Forse l’ultima autentica è stato il crollo della borsa del 29).
Quando una impresa porta i suoi libri
contabili in Tribunale, per le banche inizia la festa, perché perdono la
cartastraccia che hanno prestato, ma incamerano e mettono in vendita gli
immobili delle imprese fallite che tengono ipotecati in garanzia e che valgono
cento o mille volte di più.
Lo sviluppo è indotto dalle banche che
prestano denaro alle imprese per farle fare profitti e pagare tassi e tasse. Ma
anche le recessioni sono indotte dalle banche, che chiudendo il rubinetto del
credito e facendo fallire le imprese, è come orientassero il vento dei profitti
verso di loro: iniziano ad ingrassare svendendo i beni ipotecati in garanzia e
comprando debito pubblico a tassi usurai.
C’è da dire però, in difesa dei politici,
che a differenza di burocrati, giudici e pennivendoli, pagano salato i loro
errori: vedi Craxi e Berlusconi. Insomma, i politici alla lunga truffano sé
stessi oltre ai cittadini, se invece di tassare le grosse imprese nei periodi
di sviluppo e le banche durante le recessioni pilotate, corrono ad aiutarle,
tassando e affamando proprio i soggetti che dovrebbero aiutare: i lavoratori e
i piccoli imprenditori squattrinati; predisponendo il tutto alla guerra civile.
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