lunedì 9 gennaio 2017
Costituzione con peccato originale?
In teoria, il bilanciamento dei poteri
democratici dovrebbe assicurare pace e prosperità a qualunque popolo sovrano.
Ma in Italia assicura la guerra civile a tempo indeterminato, la
moltiplicazione esponenziale dei poveri e la concentrazione di ricchezza nelle
mani di pochi ricchi, corrotti o mafiosi.
Allora delle due l’una: o manca il
bilanciamento dei poteri, o c’è troppa mafia fra i potenti, e alla lunga i
controllori finiscono a compagni di merende dei controllati.
Tutte le medicine fin qui esperimentate, per
salvare il salvabile, quantomeno nelle democrazie, sono risultate come toppe
peggiori del buco, o al meglio, come i “bugiardini nelle scatole delle
medicine, per dirla con Nicola Cariglia, impareggiabile direttore di
Pensalibero.
Perché se l’Atto Costitutivo di uno Stato
democratico nasce col peccato originale, e sancisce le colpe senza comminare le
pene, chi poi andrà ad esercitare i poteri pubblici sarà tanto spietato per le
colpe altrui e indulgente per le proprie, che enormi masse di cittadini finiranno
ricacciati ne l’inferno della povertà, i piccoli imprenditori si
suicideranno a grappoli, i grandi fuggiranno a gambe levate, e i detentori del
potere si godranno il paradiso, anzi i paradisi naturali, finanziari e fiscali
in perfetta impunità, quando il collasso del sistema coinvolgerà anche i grandi
istituti finanziari.
Insomma, le democrazie come diligenze senza
cocchiere, garantiscono uno schifosissimo presente e nessun futuro. Nei
cosiddetti Stati democratici, le colpe pubbliche e i relativi colpevoli,
restano impuniti, anche quando sono gli elettori a comminare pene nelle cabine
elettorali.
La mafia politica non ha difficoltà a far
rientrare dalla finestra i non eletti che gli elettori hanno cacciato dalla
porta. Se bastassero le cabine elettorali per selezionare la migliore classe
dirigente, la corretta manutenzione e la buona salute delle democrazie, io qua
non avrei avuto certo diritto di parola, e dopo 25 secoli forse nemmeno
Platone.
Invece le democrazie malate restano ancora
risanabili quanto le dittature, solo a colpi di ghigliottina. Quindi, più che
la politica, la burocrazia e la giustizia, andrebbe ripensata la cultura, la
filosofia, il diritto costituzionale, in modo che le democrazie non nascano
peccaminose, capaci di dichiarare sovrano il popolo e poi ridurlo a somaro,
capaci di mettere il lavoro a fondamento dello Stato, ma poi di fatto
riservarlo ai figli dei Presidenti e dei ministri, e a tutti gli altri valigia
da emigrante o fune da suicida.
La notte di capodanno, un ex imprenditore
malato avrebbe cenato con due uova lesse se la solidarietà sociale non si fosse
sostituita alla schifosa inadempienza pubblica. E il giorno di capodanno un
ventenne laureato è andato a festeggiarsi il compleanno lavorando in nero da
facchino 10 ore per 15 euro.
Nemmeno il ricchissimo vocabolario italiano ha
aggettivi adeguati a qualificare la nostra “amatissima” classe dirigente, che
ha ridotto il popolo “sovrano” a questo drammatico livello di rassegnazione: i
laureati sanno di dover scappare da l’inferno e i lavoratori di dover
restare a morire.
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