mercoledì 26 ottobre 2011

Sogni culturali e incubi politici



Sogni culturali e incubi politici

Tutta la civiltà umana dipende dal metodo scientifico o empirico di istruire e informare, insomma di formare buoni cervelli riempiendoli del giusto carburante di conoscenza e autostima per farne soggetti autonomi e consapevoli delle proprie capacità, senza presunzioni al limite del delirio d’onnipotenza o autodisprezzo a rischio depressione.
Perché una volta sbagliata la miscela culturale di un popolo, non c’è politica o giustizia in grado di rimediare ai guasti de-formativi : o perché un popolo è troppo gonfio di presunzione tanto da attribuire agli altri le colpe dei suoi fallimenti, o perché è depresso come una ruota bucata, fino a ritenersi anche solo inconsciamente responsabile di tutto, cambiamenti climatici compresi, e diventare poi dipendente, da fumo, alcool, droga, psicofarmaci e via elencando, nell’inutile tentativo di sottrarsi alla morsa invalidante dell’insicurezza.
Premesso questo, c’è da stabilire se sia più opportuno formare i giovani come una volta con metodi empirici, costringendo l’individuo a misurarsi con la realtà, per riempirsi il serbatoio dell’autostima nella misura delle proprie reali capacità di essere autonomo, affrontando la vita da vincente o perdente: perché solo così i perdenti si sentono stimolati a migliorarsi emulando i vincenti per non finire emarginati.
Oppure formare i cervelli sotto la campana di vetro della teoria pedagogica, che mettendo in luce solo gli errori di chi fa, e mai di chi pensa, pompa una tale presunzione nei giovani da farli sentire geni invincibili, quando osservano i loro genitori fare e fallire, salvo poi cadere in una depressione irrecuperabile, quando l’oceano fra il dire e il fare, devono farselo a nuoto e magari con una zavorra di doveri e zero diritti che li manda a fondo. Dove, oltre all’ugualianza comunista, è diventata miraggio pure la giustizia liberale: il lavoro probabile, lo sfruttamento certo, la famiglia impossibile e i crediti a strozzo.
Allora è urgente valutare se sia più idoneo tenere i giovani nella scuola, fino a 25, 30 anni ed oltre come in Italia, sotto il vuoto spinto dell’istruzione teorica, oppure alternare già a dieci anni (e anche prima) teoria e pratica, in modo da costringere i giovani a sporcarsi precocemente le mani con la realtà per acquisire la consapevolezza che a questo mondo la politica aiuta o ostacola, ma si vince o si perde soprattutto per le capacità individuali: coraggio, concretezza, spirito di sacrificio, determinazione, costanza, senso dello Stato, e una punta di umiltà che non guasta mai. Esattamente ciò che è servito per diecine di millenni a tutti gli esseri umani.
Perché, se un intero popolo aspira ad un lavoro dipendente (peggio se pubblico: vedi Grecia e Italia) di cui sul pianeta si sono perdute pure le impronte digitali, e si stende al sole aspettando che sia la collettività a mantenerlo, allora allo sfascio del sistema socio economico contribuisce pure la politica, perché non ha né coraggio né convenienza di dire che non ha il potere di fermarlo. Ma la vera responsabile è della scuola, col suo discutibile sistema formativo, che invece di accrescere l’autonomia degli individui (come faceva una volta la razza già estinta degli artigiani) ne accresce la dipendenza, fino al parassitismo, irresponsabilità, autolesionismo e criminalità.
Invece di formare pilastri autonomi e quindi portanti per la collettività e lo Stato, come lo erano una volta gli imprenditori onesti, produttivi e contributivi,  forma eserciti di aspiranti dipendenti che si travasano da uno Stato e persino da un continente all’altro (o peggio da un partito politico all’altro) nell’inutile ricerca di una bella cattedra, o di un lavoro e salario pubblico sindacalizzato e garantito come un vitalizio. E in mancanza, finendo poi nelle grinfie di negrieri e sfruttatori e aiutando i sistemi socio-economici ad affogare prima e meglio nella bancarotta vera e nella pace sociale finta.
Il ventre molle delle democrazie, e dell'Italia in prima fila, è nel sistema culturale, che invece di conservare l'Italia già fatta, facendo gli italiani, ne disfa popolo e Stato, formando soggetti capacissimi di farsi trainare dallo Stato, ma non certo di portarselo a rimorchio come le vecchie generazioni di imprenditori che producevano con i loro denari, profitti, salari e tasse.
Oggi non producono ricchezza nemmeno le multinazionali e le banche, se non succhiando esenzioni e contributi pubblici, perchè lo Stato appesantito da un popolo che costa più di quanto rende, sovraccarica chi produce fino a ridurlo al fallimento.
E nessuno vuole convincersi ancora che in democrazia quando piove non è colpa  del "governo ladro", che ha il potere di un due di briscola in una partita a scopa, ma del sistema culturale che forma individui poco o per nulla autonomi, che non vivono per produrre e dare allo Stato come i vecchi imprenditori che le tasse le pagavano fino alla morte, ma per allattarsi di stipendi e pensioni fino alla morte.
Ed è questa zavorra di costi pubblici che ha ridotto le imprese e le banche con un insostenibile carico tributario, prima a rubare sperando di salvarsi e poi a fallire, mettendo l'intero Occidente a rischio default.
E' stato un bellissimo sogno formare eserciti di soggetti dipendenti e aspettare che sia la politica, gonfiando il sistema burocratico fino all’esplosione, ad assumerli e pagarli per tutta la vita, a spese degli imprenditori privati tassati e tartassati fino al fallimento.
Ora il sogno si è trasformato in incubo in tutto l'Occidente ed è stupido non prendere atto, senza criminalizzare il mondo della cultura, che la politica non ha niente di alternativo alla cultura. Ciò che non riesce alla cultura, (perché Galilei non li ha mica tappati tutti i buchi di ignoranza nel mondo della scienza) è da idioti chiederlo alla politica.
E se le parole del sottoscritto sono facilmente contestabili dai parolieri della filosofia e del giornalismo, non lo sono affatto quelle di Freud, secondo cui “la scienza non è un’illusione, ma sarebbe illusione credere di poter trovare altrove quello che essa non può darci". Oggi ci sono eserciti di laureati e masterizzati che alla scienza chiedono di certificare con una laurea la loro patologica condizione di dipendenti e poi corrono dalla politica ad estorcere una scrivania con la minaccia del voto: "solo se mi assumi ti voto io e tutta la mia famiglia".
Ma il miracolo biblico della moltiplicazione delle cattedre e scrivanie, degli stipendi e delle bebipensioni ad opera dei padreterni della politica ormai non riesce più.

La barca dell’Occidente, piena di falle economiche, si è inclinata a rischio affondamento perché la cultura continua a negare persino a sé stessa quel suo drammatico deficit di responsabilità che ha gettato nel caos interi continenti. E la politica, con le multinazionali e le banche che chiedono o pretendono denari pubblici per non fallire, non ha che i soliti lavoratori e piccoli imprenditori da usare da tappo.

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